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Le mosse di Netanyahu sulla Palestina fanno saltare il Forum del Negev

A causa di due decisioni aggressive sulla Cisgiordania del governo israeliano, il Marocco avrebbe rinunciato all’idea di ospitare il Forum del Negev. La linea contro i palestinesi crea problemi con i partner arabi al governo Netanyahu

Il Marocco avrebbe deciso di ritirare l’idea di ospitare il secondo incontro ministeriale del Forum del Negev che si sarebbe dovuto svolgere il mese prossimo. La decisione di Rabat sarebbe una diretta risposta a un paio di mosse del governo Netanyahu per espandere in modo significativo i suoi insediamenti in Cisgiordania, almeno stando a quanto dichiarano fonti statunitensi, israeliane e regionali.

Problema israeliano (e non solo)

L’incontro dei ministri degli Esteri di Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco, Egitto e Stati Uniti era originariamente previsto per marzo, ma è stato due volte rimandato a causa dell’escalation di tensioni tra israeliani e palestinesi e del disagio dei partecipanti arabi nei confronti del nuovo governo di Benjamin Netanyahu — che ha al suo interno fazioni politiche integraliste e di estrema destra che spingono molto sulla linea anti-palestinese.

Quanto accade è un guaio per Israele e per Netanyahu, che confida nei buoni uffici statunitensi per arrangiare una normalizzazione con l’Arabia Saudita. Il processo, su cui sia Gerusalemme che Riad sembrano più che convinti in generale, dovrebbe avvenire all’interno del sistema di distensioni regionali che ha visto negli Accordi di Abramo del 2020 (quelli tra alcuni  Paesi arabi e Israele) uno dei momenti più importanti. Lo stesso Forum del Negev nasce sotto questo impulso — e per altro in passato si era ipotizzato di allargarlo a funzionari sauditi. Ma serve un quadro potabile.

Gli Usa non sono soddisfatti

Gli Stati Uniti hanno provato a istituzionalizzare il forum (c’è un’idea di cambiargli anche nome per farlo essere meno israelo-centrico) anche come forma di dialogo informale Riad-Gerusalemme. Ma il nuovo governo israeliano sta guastando i piani. Il punto è che mentre la questione palestinese è stata sostanzialmente marginalizzata nei processi istituzionali, resta una questione di immagine per Riad (che ospita i luoghi sacri dell’Islam e non può mostrarsi del tutto disinteressato davanti ai fedeli).

Qualcosa di simile riguarda gli altri attori coinvolti. La settimana scorsa, Rabat aveva accettato di organizzare l’incontro il mese prossimo. La data non era stata finalizzata, ma per quanto noto era “abbastanza bloccata” per la metà di luglio. Domenica però sono state rese pubbliche alcune mosse del governo israeliano che hanno fatto deragliare l’organizzazione — e indispettire tutti, a cominciare dagli Stati Uniti.

Cosa ha deciso Netanyahu?

La prima è stata l’annuncio del ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che l’organo del ministero della Difesa incaricato di autorizzare la costruzione di insediamenti si sarebbe riunito la prossima settimana per far avanzare i piani per oltre 4.500 nuove case di insediamento. Qualche ora dopo, il governo israeliano ha approvato una risoluzione che dà praticamente tutto il controllo sull’approvazione dei piani di costruzione negli insediamenti in Cisgiordania a Smotrich, colono e leader del Partito sionista religioso, formazione nazionalista di estrema destra. La decisone ha anche aggirato il processo in sei fasi che le autorità israeliane seguono abitualmente per questo tipo di costruzioni.

Washington aveva già chiesto a Netanyahu di non procedere con il piano, ma il primo ministro ha la necessità di mantenere in equilibrio la maggioranza e deve accettare compromessi — come l’espansione degli insediamenti sotto il controllo di Smotrich — se vuole procedere con le riforme di diretto interesse come quelle al sistema giudiziario e più in generale se vuole mantenersi al governo.

La decisione approvata nella riunione di gabinetto di domenica mattina, che ha effetto immediato, accelera e facilita drasticamente il processo di espansione degli insediamenti esistenti in Cisgiordania e legalizza retroattivamente alcuni avamposti illegali. Ma questi sforzi israeliani per rafforzare ulteriormente la propria presenza in Cisgiordania sono considerati un ostacolo a ulteriori accordi di normalizzazione in Medio Oriente e visti come una provocazione davanti a quello in essere. Anche perché, come dimostra anche l’attivismo in eventi pubblici come i Mondiali di Calcio in Qatar, tra le popolazioni arabe della regione il tema palestinese è ancora sentito.

Il contesto

Centinaia di coloni israeliani armati si sono scatenati nelle città palestinesi della Cisgiordania mercoledì e giovedì, bruciando edifici e automobili, terrorizzando le famiglie e dando vita a scontri. In un caso, una scuola è stata incendiata; in un altro, una moschea è stata saccheggiata. I funzionari palestinesi mercoledì hanno dichiarato di aver contato circa 310 attacchi contro i palestinesi da parte dei coloni israeliani in Cisgiordania dal giorno precedente, quando due uomini armati palestinesi hanno ucciso quattro israeliani e ne hanno feriti altri quattro vicino all’insediamento cisgiordano di Eli.

Questo, a sua volta, ha seguito una grande operazione israeliana, di otto ore, lunedì, contro i militanti palestinesi nella città cisgiordana di Jenin. Sette palestinesi sono stati uccisi, tra cui due adolescenti, nel corso di una feroce battaglia che ha visto Israele lanciare attacchi missilistici anche tramite gli Apache. È stata la prima volta che gli elicotteri da combattimento sono stati impiegati dai giorni cupi della Seconda Intifada, quasi due decenni fa.

Giovedì scorso, l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e l’ex presidente irlandese Mary Robinson, entrambi figure di spicco degli Elders, un gruppo di difesa dei diritti internazionale, hanno lanciato un monito dopo una missione di accertamento nella regione, affermando che la “realtà di uno Stato unico” sta “spegnendo” la prospettiva di pace. Hanno aggiunto di non aver percepito “nessuna confutazione dettagliata delle prove dell’apartheid” e che l’attuale governo israeliano ha dimostrato “l’intenzione di perseguire un’annessione permanente piuttosto che un’occupazione temporanea, basata sulla supremazia ebraica”.

Futuro incerto?

Le mosse degli insediamenti potrebbero non avere un impatto diretto sugli sforzi dell’amministrazione Biden di mediare un accordo di normalizzazione tra Israele e i sauditi, “ma l’intera atmosfera viene contaminata da tutte queste cose? Assolutamente sì”, dice un funzionario statunitense che parla in forma anonima al Times of Israel. “Mi sarei concentrato esclusivamente sul non fare assolutamente nulla che impedisse la conclusione dell’accordo saudita, ma non sono stati in grado di farlo”.

La decisione del Marocco ancora non è ufficiale, ma i rumors sono più che fondati secondo una fonte diplomatica nordafricana che parla riservatamente con Formiche.net. “Per recuperare servirà pragmatismo, perché è chiaro che adesso nessuno ha interessi a mostrarsi troppo sbilanciato, ma nemmeno a vedere eccessivamente”. Per gli Stati Uniti inoltre c’è anche la necessità di non perdere terreno sulla questione palestinese dopo che il presidente dell’Anp, Mahmud Abbas, ha ricevuto ampio appoggio dal leader cinese, Xi Jinping, durante il suo recente viaggio a Pechino.

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