In gioco c’è l’affidabilità come leader responsabili e di governo. Giorgia Meloni ne ha dato prova sull’Ucraina, non le resta ora che darne prova sul Mes. Il corsivo di Andrea Cangini
In attesa che un qualche scienziato della politica o della mente umana pubblichi un poderoso saggio per spiegarne le ragioni, non resta che apprezzare il realismo degli amministratori locali e regionali a fronte della demagogia che spesso caratterizza la politica nazionale romana. Al Pd nazionale che, per non essere da meno dei grillini, fa dall’abolizione del reato di abuso di ufficio una questione morale, rispondono i sindaci dem ammettendo che quella fattispecie paralizza le amministrazioni e non per questo ne tutela la legalità. Così accade nel campo avverso sulla riforma del Mes.
Se non fosse tragica, la situazione sarebbe comica. E più l’epilogo della vicenda viene rinviato, più si fa concreto il rischio che una risata finale seppellirà il governo. Perché su una cosa nessuno ha dubbi: l’eccezionalità italiana, ovvero la stravaganza che fa di noi l’unico Paese dell’Eurozona a non aver ancora ratificato la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), non potrà durare ed è ovvio che prima o poi lo ratificheremo. Ma farlo poi non è la stessa cosa che farlo prima. Ogni giorno che passa, infatti, aumenta la sfiducia dei mercati finanziari sull’affidabilità dell’Italia e questo ha un costo in termini di interessi sul debito pubblico. “Respingere la ratifica del Mes oggi significa mettere in gioco il prezzo dei titoli e il costo di rifinanziamento dello Stato”, ha scritto Federico Fubini sul Corriere. Ed è vero. È talmente vero che il governatore leghista dl Friuli-Venezia Giulia Massimiliano Fedriga ha così minimizzato il problema: “Ratificare il Mes non vuol dire usarlo”. Fedriga è uomo concreto. Sa che, al pari di Meloni, il leader del suo partito Salvini continua a dire peste e corna del Mes, ma sa anche quanto la mancata ratifica sarebbe dannosa per l’interesse nazionale.
Non c’è dubbio che ratificandolo Giorgia Meloni perderebbe la faccia di fronte a quella quota del proprio elettorato che ha preso in parola l’euroscetticismo dispensato a piene mani negli anni trascorsi all’opposizione. E non c’è dubbio che se Salvini rifiutasse di votarlo ne avrebbe qualche beneficio alle elezioni europee del prossimo anno. Ma non è sulla demagogia che si disputa la gara tra Salvini e Meloni. La gara si disputa sull’affidabilità come leader responsabili e di governo. Giorgia Meloni ne ha dato prova sull’Ucraina, non le resta ora che darne prova sul Mes. E se proprio vuole bluffare, accetti il consiglio di Mario Monti e faccia votare contestualmente alla ratifica un ordine del giorno che impegni l’esecutivo a passare per un voto del Parlamento qualora intenda attivare il Meccanismo. È un’ovvietà, ma se serve ad allungare il brodo affinché tutti ne possano sorseggiare un po’ ben vengano le ovvietà. È quello che, più o meno esplicitamente, le suggeriscono di fare i governatori Fedriga, Zaia e Toti.