A quasi otto mesi dalla nascita del governo a trazione Fratelli d’Italia, il differenziale di rendimento tra Btp e Bund è decisamente più basso delle previsioni. Merito di una crescita più tonica e di misure poco azzardate. Ma se ci sono due bucce di banana, sono la Bce e il Patto di stabilità
“L’Italia è in una situazione più solida di quanto alcuni vogliono far credere. Lo spread negli ultimi anni è stato considerato il grande metro di giudizio per valutare lo stato dell’economia italiana. Negli ultimi cento giorni è sceso da 236 a 175 punti base e la Borsa ha registrato un aumento del 20% (in termini di capitalizzazione, ndr)”. Era il 29 gennaio scorso quando Giorgia Meloni rivendicava la discesa del costo del debito italiano, rispetto a quello tedesco.
LO ZEN DEI MERCATI
Non è certo necessario soffermarsi troppo a lungo su quanto sia indispensabile per un Paese che è arrivato a spendere oltre mille miliardi di euro all’anno, assicurarsi quei 400 miliardi di liquidità prestata dai mercati, visto che le sole entrate fiscali non bastano a coprire la spesa pubblica. Dall’umore e dalla percezione degli investitori su quanto fatto dall’esecutivo di turno, insomma, dipende la tenuta dei conti italiani. Fatta questa premessa, da gennaio ad oggi, la fiducia dei mercati verso il governo sembra essere rimasta intatta.
Una traiettoria (a ottobre, mese di insediamento dell’esecutivo a trazione Fratelli d’Italia, il differenziale tra i rendimenti dei Btp e i bund tedeschi era oltre i 200 punti base), non certo scontata, specialmente se si considera l‘attuale fase restrittiva aperta dalla Banca centrale europea poco meno di un anno fa e lungi dal concludersi. Un aumento del costo del denaro (l’ultimo board della Bce ha portato i tassi al 4%), impatta anche sull’onere del finanziamento del debito sovrano.
Nonostante tutto, il terremoto non c’è stato. Questa mattina lo spread Btp/Bund ha aperto a 151,1punti, contro i 155,6 segnati venerdì scorso in chiusura, per poi portarsi a 158 punti base. E con un conseguente ribasso di 1,5 punti base al 4,01% del rendimento annuo italiano sul titolo decennale, mentre quello tedesco è immobile al 2,47%.
IL FATTORE BCE
In numeri dunque raccontano di una ulteriore discesa, dopo la fotografia scattata lo scorso gennaio. E pensare che, proprio in scia alla stretta monetaria della Bce, alcuni analisti, come quelli di Intermonte, si aspettavano uno spread a 230 punti base.
Cosa che almeno per il momento, non si è verificata. Anche le prospettive di nuovi rialzi avrebbero potuto irritare i mercati: secondo gli economisti di Generali, infatti, è probabile che un ulteriore aumento di luglio da parte della Bce segnerà il picco prevalente fino alla metà del 2024, anche se ci sono rischi di un ulteriore aumento, in autunno.
TRA MES E CRESCITA
La discesa dei rendimenti italiani ha conciso con un momento non proprio idilliaco tra Italia ed Europa, ambedue impegnate in una delicata negoziazione sul terreno del Mes e del Patto di stabilità. Roma, infatti, unica firma mancante al Trattato a monte del Meccanismo di stabilità, chiede da tempo che il Mes diventi più uno strumento per la crescita che per i salvataggi.
L’Europa ci sta facendo un pensierino, con la sponda della Germania. Ma sulla riforma del Patto (la deadline è fine anno), Bruxelles non vuole sentire ragioni. Tutto questo avrebbe potuto innervosire i mercati. E invece no. Forse, agli investitori sono bastate le revisioni a raffica delle stime di crescita italiane nel 2023: Bankitalia, Istat, Moody’s, Fmi. Tutti concordi nel dire che quest’anno l’Italia farà meglio del previsto. E un Documento di economia e finanza improntato alla prudenza. Per il momento ai mercati sta bene così.