“Da cittadino del Mediterraneo allargato, non posso non tener presente che la Brigata Wagner è diventato un attore importante. Credo che sia arrivato il momento che si debba parlare seriamente anche con Zelensky e ragionare con lui su quale sia realisticamente il percorso politicamente più sano nell’interesse dell’Ucraina”. Conversazione con l’ambasciatore Riccardo Sessa
Prigozhin, riciclatosi da ristoratore a creatore e capo della tristemente nota Brigata Wagner, è un cane sciolto? Se lo chiede dalle colonne di Formiche.net l’ambasciatore Riccardo Sessa, presidente della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale ed editorialista del Messaggero, già ambasciatore d’Italia a Belgrado, Teheran, Pechino e alla Nato che partendo dal tentato golpe in Russia analizza non solo le operazioni militari “speciali” in Ucraina, nelle quali la Wagner ha svolto un ruolo, ma anche i prossimi vertici (Consiglio Ue e Vilnius).
Da ieri mattina ci stiamo tutti chiedendo cosa sia veramente successo in Russia e al Cremlino e quali lezioni se ne possono trarre sugli equilibri politici interni russi e sulla guerra in Ucraina. Riteniamo importante capire come quanto è accaduto influenzerà due importanti vertici internazionali a breve scadenza, il Consiglio Europeo del 29 e 30 giugno a Bruxelles e la riunione dei capi di Stato e di governo dei Paesi della Nato a Vilnius l’11 e il 12 luglio, quali conseguenze potrebbero derivarne per l’Ucraina e per la guerra. Prima però ci interessa conoscere anche il suo parere su quanto successo.
È stato detto quasi tutto e ritengo che abbiamo bisogno di un po’ più tempo per capire. Gioco di potere? Regolamento di conti? Ammutinamento, oppure tentativo di golpe? Io non ho mai creduto che Putin e Prigozhin, e gli altri di quella squadra, abbiano letto la storia di Pinocchio, quindi la verità forse non la conosceremo mai. È una storia che ha tutti gli ingredienti della migliore letteratura russa.
Yevgeny Prigozhin si è mosso da solo? Ha beneficiato di qualche “aiutino” straniero?
Mi viene da dire che forse non è necessario andare troppo lontano, che la vicenda potrebbe essere tutta russa, dobbiamo capire meglio il ruolo svolto da Lukashenko, che disegno aveva in mente Prigozhin. Prigozhin si è fatto interprete di ciò che tanti in Russia vanno sostenendo da tempo: una guerra, quella scatenata da Putin, per reagire a una minaccia che non esisteva e condotta nel peggiore dei modi da forze palesemente impreparate. La vera questione è un’altra. Putin? Da tutti lo Zar viene ormai considerato più debole. Fino a quando resisterà, o lo lasceranno al suo posto? Seguiamo con molta attenzione e altrettanta prudenza e lasciamoli litigare tra di loro. Abbiamo solo da guadagnarci. Dobbiamo resistere alla tentazione di schierarci. Da cittadino del Mediterraneo allargato, non posso non tener presente che la Brigata Wagner è diventato un attore importante, non certo come modello, non solo in Ucraina, ma in vari altri teatri del mondo fondamentali per la sicurezza nostra, quella europea e quella transatlantica, quali Libia, Siria, Medio Oriente, Sudan, e altri. Se ne uscisse ridimensionato il ruolo in quelle aree sarebbe positivo.
Ciò premesso, come si sta muovendo Palazzo Chigi in vista del prossimo Consiglio europeo e del Vertice Nato di Vilnius?
Questo governo agisce e si impegna sul piano internazionale in maniera molto chiara, nel solco, dobbiamo riconoscerlo, di una consolidata linea di continuità con tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi quasi cinquant’anni, ovvero un’adesione alle scelte fondamentali della nostra politica estera, quella europea e quella atlantica. Ci sono diverse sensibilità, ogni tanto qualche mal di pancia, ma non divagazioni sul tema. E i nostri alleati lo sanno e dovrebbero sempre ricordare il nostro numero di telefono… Il governo si prepara ad affrontare quelle due scadenze con tutto l’impegno necessario. Senza fare le pagelle, il Presidente del Consiglio e il Vice Presidente e Ministro degli Esteri hanno le idee estremamente chiare e si stanno muovendo molto bene. Il problema è che in vista di quelle scadenze ci sono da svolgere, come sempre, dei compiti a casa, che, in politica, vuol dire gestire il rapporto con i compagni di classe, amici e non. A quelle due riunioni l’Italia dovrà presentarsi avendo trovato le formule – cioè le forzature, se necessario – più adatte per far quadrare il cerchio. Non ci sono alternative.
Come si prepara l’Occidente guardando ai dossier più caldi?
L’Occidente, tanto per cambiare, continua cronicamente a muoversi in ordine sparso, senza un disegno a lungo termine, e dobbiamo purtroppo registrare che questo è vero sia sul fronte comunitario, che su quello atlantico. Guardando al Consiglio Europeo, che è il più vicino, sul tavolo ci sono questioni a dir poco spinose, basti pensare alla governance futura dell’Unione, e non parlo del Mes… Per noi c’è soprattutto il problema dei migranti e del cosiddetto controllo delle frontiere, dove dobbiamo assolutamente ottenere che dalle parole si passi a fatti concreti. Ma in quella materia dovremo fare chiarezza e spiegare, prima di tutto a noi stessi, che cosa si intende per sicurezza delle frontiere dell’Unione europea. E chi è che le sta mettendo in pericolo. Esiste solo un paese che dall’anno scorso ha subito la violenza più brutale nei confronti delle proprie frontiere, ed è l’Ucraina. Davvero le 600 persone che sono affogate nel Mediterraneo mettevano in pericolo la sicurezza delle frontiere nostre e dell’Unione europea? Gli scafisti e i trafficanti mettono in pericolo i nostri confini? Loro fanno solo terribili e loschi affari con dei disperati.
Quale il nodo vero, allora?
Superando gli egoismi nazionali, dobbiamo condurre una lotta senza scampo a chi, approfittando della disperazione di quelle persone, guadagna cifre allucinanti offrendosi di trasportarle verso un mondo ritenuto migliore speculando sulla vita e sulle speranze di quei disgraziati. Tutti i contatti che il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri hanno avuto e stanno avendo sono importanti e dobbiamo augurarci che riescano a mobilitare, una volta per tutte, le coscienze e le volontà dei governi per far comprendere che stiamo parlando di un’emergenza che investe tutta l’Unione europea e che le soluzioni, come ripetiamo da decenni, vanno ricercate innanzitutto nei paesi dai quali quei disgraziati fuggono.
L’Europa sta attraversando una delle crisi più complesse dalla sua nascita. Troppo semplicistico attribuire la responsabilità alla Commissione europea, o alle Nazioni Unite?
Per anni ci siamo impegnati sul multilateralismo, dove abbiamo giocato tutte le carte possibili, piuttosto che sul bilateralismo, spesso però senza neanche porci il problema su quali fossero le differenze sul piano sostanziale tra interventi sul piano bilaterale e interventi sul piano multilaterale. Non è stato uno spettacolo incoraggiante per la sicurezza internazionale quando recentemente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato presieduto dal ministro degli Esteri della Russia che aveva aggredito un altro membro delle Nazioni Unite. Io ricordo sempre a me stesso che le organizzazioni internazionali sono e fanno solo ciò che gli Stati membri, almeno i più influenti, vogliono che esse siano e facciano.
Il vertice di Vilnius quali indirizzi potrà offrire in questo senso?
Mi auguro fortemente che non prevalgano le dichiarazioni di circostanza rispetto a decisioni concrete, perché altrimenti avremo perso ancora un’occasione per fornire un contributo serio alla cessazione della guerra in corso. È arrivato il momento che i Paesi membri si parlino con la massima franchezza. Vi è una confusione enorme sui messaggi che vengono inviati all’esterno e in primo luogo ai due avversari. L’Alleanza Atlantica, che, lo ricordo, è un’alleanza politica dotata della più efficiente organizzazione militare, è a un passaggio importante della propria storia. Vivacchiava, fortunatamente dobbiamo dire, e Putin l’ha risvegliata e rimessa in moto.
Le aspettative nei confronti di Vilnius sono altissime, ma su quali obiettivi?
Ribadire senza se e senza ma il sostegno all’Ucraina, ma a quattr’occhi i leader parlino su come far finire della guerra e su come favorire la pace. Da un’importante agenzia internazionale abbiamo capito che ai governi dei Paesi membri, proprio in conseguenza della guerra in Ucraina, verrà richiesto di aggiornare i piani di difesa regionali adattandoli alle nuove minacce, oltre che parlare di cyber e spazio e modificare di conseguenza la struttura alleata di comando. Le opinioni pubbliche ancora una volta capiranno ben poco. Da vecchio veterano dell’Alleanza, che ho conosciuto durante e dopo la Guerra Fredda, vedo un serio rischio di avvitarsi su sè stessa che non farà certo bene al futuro dell’Alleanza.
Ma dove dovremmo arrivare?
Porre termine alla guerra. Lo chiedono gli ucraini, la popolazione russa, le opinioni pubbliche mondiali. Le formule di riferimento non mancano. Che cessino prima le armi, e poi si lascino lavorare gli specialisti, la Croce Rossa e le organizzazioni umanitarie per soccorrere le popolazioni, e la diplomazia, ma quella vera, lo ripetiamo da tempo, quella che opera in silenzio, quella che non dice, e che parla solo quando ha fatto.
Vede dei segnali incoraggianti nelle ultime settimane?
Putin fino all’altroieri ha sempre ribadito che non intende negoziare: se questo atteggiamento prima era comprensibile, dobbiamo ora capire cosa succederà nei prossimi giorni. Occorre che una serie di Paesi che hanno ancora la possibilità di parlare con i russi lo facciano seriamente, nella consapevolezza che è necessario coinvolgere e confrontarsi anche con altri, penso istintivamente a Cina, Iran, Serbia e altri. Parlare poco, ma agire.
Consiglio europeo e Vilnius avranno sul tavolo un comune quesito: il futuro politico dell’Ucraina. Con quale esito?
Se ne discute ancora troppo, si dettano ambiziosi cronoprogrammi, senza aver il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Oggi il vice presidente Tajani in un’intervista è stato estremamente chiaro sul percorso al quale l’Ucraina deve prepararsi. I processi di adesione alle organizzazioni internazionali hanno tempi e procedure che non possono essere compressi. Ne va del pieno successo dell’operazione. Ciò che deve essere chiara e garantita è la marcia di avvicinamento, la prospettiva politica, senza forzature nei tempi. È un percorso che altri hanno seguito. Nessuno oggi ha dubbi su dove si collochi il futuro dell’Ucraina: in Occidente e all’interno delle famiglie europea e atlantica.