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L’alleanza sul 6G per connessioni libere e democratiche

A Helsinki, il ministro degli Esteri Pekka Haavisto e il segretario di Stato americano Antony Blinken hanno firmato un Joint Statement per cercare di “creare un approccio globale congiunto verso una tecnologia sostenibile, competitiva, sicura e affidabile”. Pechino non è mai nominata, ma è la chiara destinataria del messaggio lanciato dall’Occidente

La risposta alla Cina arriva dalla Finlandia. Il ministro degli Esteri finlandese, Pekka Haavisto, e il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, hanno siglato a Helsinki una dichiarazione congiunta con cui prevedono una collaborazione dei loro Paesi in materia 6G, per limitare il potere di Pechino sulle reti wireless. Washington si impegnerà a mettere sul piatto “centinaia di miliardi di dollari per finanziare infrastrutture di alta qualità negli Stati in cui sono più necessarie”, grazie anche al contributo dei suoi alleati. Proprio la partnership con la Finlandia, da poco membro Nato, dovrebbe “creare un approccio globale congiunto verso una tecnologia sostenibile, competitiva, sicura e affidabile”, si legge nel comunicato finale.

Nella nota fa rumore l’assenza della Cina, mai nominata sebbene sia lei a muovere i fili delle alleanze occidentali. Pechino è tuttavia indirettamente citata quando il ministro Haavisto, lasciando una dichiarazione all’Helsingin Sanomat, ha affermato che il 6G che hanno in mente Washington e Helsinki dovrà inevitabilmente essere “democratico, trasparente e in cui i diritti umani siano rispettati”. Una visione opposta a quella cinese, “soprattutto dopo il coronavirus”.

Le connessioni ultraveloci rappresentano per la Nato una questione non più rimandabile. C’è necessità sempre più urgente di condividere le informazioni con i partner e aumentare la sinergia per slegarsi dalla dipendenza della Cina. Un’operazione semplice a dirsi e piuttosto complessa da realizzare, sebbene i tentativi in atto siano molteplici.

Le parole “autonomia” e “indipendenza” sono diventate centrali dopo l’invasione russa in Ucraina e, in prospettive future, per quello che potrebbe accadere nel futuro prossimo con Pechino. L’urgenza era emersa anche all’ultimo G7 in Giappone, proprio quello per cui il Dragone ha storto il naso data la postura considerata “anticinese” dell’incontro.

Sul tavolo non c’era solamente l’espansionismo nella regione dell’Asia-Pacifico, ma anche il distaccamento dalla tecnologia cinese per esserne il meno vittime possibili. O, se non proprio vittime dirette, quantomeno non rendersi complici di quello che Pechino fa con i suoi strumenti tech.

Questa volontà è stata sottolineata con forza anche durante il quarto vertice del Consiglio commercio e tecnologia tra Stati Uniti e Unione europea. Tra i vari ordini del giorno c’era il controllo sugli investimenti all’estero: particolarmente cruciale era quello legato alla Cina, “per evitare che i capitali, le competenze e le conoscenze delle nostre aziende sostengano i progressi tecnologici di rivali strategici in modi che minacciano la nostra sicurezza nazionale”. La collaborazione Usa-Ue dovrebbe dunque allargarsi ai semiconduttori, all’Intelligenza Artificiale, passando per l’informatica quantistica fino ad arrivare al 6G, per l’appunto.

C’è però un problema non banale: le intenzioni dei governi potrebbero non combaciare con quelle delle aziende private. Sebbene la Cina abbia controversie piuttosto lampanti, il suo mercato rappresenta un punto di riferimento e di attrazione da cui è molto complesso staccarsi. L’ha spiegato senza mezzi termini l’amministratore delegato di Siemens, che ha già escluso di abbandonare il mercato cinese.

Ridurre la dipendenza da Pechino è un leitmotiv che in Occidente si ripete come un mantra. Coniugare esigenze politiche con quelle commerciali del settore privato appare ad oggi molto complesso. Ecco perché la firma posata a Helsinki di Pekka e Blinken è un passo concreto in un mare di dichiarazioni.

Anche per via del punto di cui scrivevamo su questo giornale più di un anno fa: gli errori commessi sul 5G devono servire come lezione. Per dirla con le parole degli esperti, “senza privacy e sicurezza aumenta solo il potere dei governi autoritari. Al di là dei rischi per la sicurezza e il potere economico, la modernizzazione della rete comporta conseguenze per i diritti umani”.

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