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Petrolio e partnership tra sauditi e iraniani. Si muove il nuovo Medio Oriente

Le voci di un’alleanza marittima militare nel Medio Oriente che comprenderebbe Iran, Arabia Saudita, Emirati e altri potrebbero essere mosse collegate a un gioco delle parti, oppure tasselli di dinamiche regionali profonde. La decisione di Riad all’Opec, il nervosismo americano, le scelte di Abu Dhabi

Le parole di Shahram Irani, comandante della Marina iraniana, durante un programma televisivo della serata di venerdì 2 giugno, hanno attirato parecchia attenzione internazionale perché l’ufficiale di Teheran ha annunciato la possibilità di formare un’alleanza marittima con l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e altri Paesi del Golfo e asiatici (tra cui India e Pakistan). Quanto dichiarato è interessante perché si inserisce nel contesto in cui gli Emirati si sono ritirati da una coalizione per la sicurezza marittima guidata dagli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sceglie di continuare a tagliare le produzioni petrolifere contravvenendo di nuovo alle richieste precedenti di Washington. Ossia, anche l’annuncio di Irani può essere inserito tra le nuove dinamiche nelle relazioni interne ed esterne del Medio Oriente?

Narrazioni e interessi

Le informazioni non sono ancora state confermate e potrebbero essere frutto di dinamiche interne alla Repubblica islamica. Non è la prima volta che funzionari iraniani si sbilanciano su certe iniziative, e non è escluso che possano anche essere un modo per tracciare una linea tra le forze regolari – conservatrici, ma orientate verso il pragmatismo – e quelle teocratiche, il Sepah, il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione diramato all’interno di tutti gangli dello Stato. Il Corpo nasce come una forza militare teocratica, con tanto di unità marittime, e controlla varie milizie e organizzazioni più piccole, in Iran come in altri Paesi della regione. Il Sepah (e/o le milizie collegate) sono stati tirati in ballo come responsabili di alcuni degli incidenti avvenuti negli ultimi anni tra le acque del Golfo Persico – non ultimo un mercantile che ha chiesto assistenza alle unità inglesi e americane nella zona dopo essere stato circondato dai barchini dei miliziani domenica 4 giugno.

È possibile che Irani abbia scelto di marcare una differenza dalle attività del Corpo e inserire la Marina regolare all’interno del mood regionale: una distensione generale su diversi dossier, tra cui spicca la normalizzazione delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita mediata dalla Cina. Tuttavia, più che un’alleanza effettiva, potrebbe trattarsi di un dialogo tra le nazioni coinvolte. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc) è uno spazio geopolitico complesso, con dinamiche competitive tra gli attori presenti. Pertanto, è possibile che l’Iran stia semplicemente cercando di aprire un canale di dialogo con i suoi vicini e farsi vedere disponibile mentre una serie di vicende tossiche hanno reso Teheran vittima del Corpo (non intenzionato a procedere sulla via della distensione perché ha interessi piantati nel continuare a mantenere un costante livello di ingaggio con i rivali ideologici regionali, i regni sunniti, e con l’Occidente).

La notizia sulla potenziale partnership marittima Iran(i)centrica arriva pochi giorni dopo la manifesta espressione di insoddisfazione da parte degli Emirati riguardo ai limiti della loro collaborazione marittima con le forze militari degli Stati Uniti. Abu Dhabi ha da poco fatto sapere che due mesi fa ha ritirato la sua partecipazione dalle Combined Maritime Forces, un’alleanza marittima che coinvolge decine di Paesi creata per stabilizzare le rotte del Golfo e rassicurare soprattutto sauditi ed emiratini. Gli Emirati hanno dichiarato che continueranno con altre forme a provvedere alla sicurezza marittima regionale, che è parte della propria sicurezza nazionale. È plausibile che un accordo con l’Iran possa aiutare Abu Dhabi o Riad? Gli Stati Uniti affermano che inserire l’Iran in un’alleanza del genere “sfida la ragione”, visto che la Repubblica islamica è la ragione principale dell’insicurezza marittima nella regione del Golfo Persico: è stato il l portavoce della Quinta Flotta a parlarne su Breaking Defense, tradendo un po’ di nervosismo verso certe dinamiche.

Perché unirsi al proprio aggressore?

Va notato che i decisori del Golfo non sono ingenui e hanno una visione realistica della situazione. Anzi, è sulla base di questa che potrebbero aver scelto di non commentare le parole di Irani. La scelta su cui si muovono non è sul decidere se l’Iran sia diventato improvvisamente un attore benevolo, cosa che i governi di Riad e Abu Dhabi sanno che non è il caso di chiedersi, ma piuttosto cosa possa garantire risultati migliori in termini di sicurezza. Analizzando la situazione da una prospettiva statunitense, emergono una buona e una cattiva notizia, e una questione più complessa. La cattiva notizia è che i Paesi del Golfo potrebbero intraprendere ulteriori azioni per ridurre la presenza statunitense nella regione, come aumentare l’acquisto di sistemi di difesa russi e cinesi, per esempio, e iniziare a provvedere da soli alla sicurezza.

Questo si porta con sé una nota positiva, perché gli americani lavorano da tempo per alleggerire la loro impronta nell’area, ma allo stesso tempo se non dovessero essere più presenti come forza militare, allora avrebbero svariate difficoltà – visto che su altri campi, altri attori come la Cina, stanno contemporaneamente crescendo di peso nella regione. La buona notizia è che, sebbene si creda che l’accordo di distensione tra Riad e Teheran abbia un futuro solido nei prossimi anni, gli sviluppi nella sicurezza, come l’esclusione degli Stati Uniti dal Medio Oriente e la sostituzione delle garanzie di sicurezza, richiedono molto molto tempo. Poi c’è anche un aspetto più complesso. Domenica, l’Opec (riunito in formato “plus”, ossia con la Russia) ha deciso di continuare i tagli alle produzioni fino al 2024 e aggiustare i quantitativi a 40,5 milioni di barili al giorno. Questo include una decisione importante, unilaterale di Riad: portare a 9 milioni giornalieri i barili sauditi prodotti, ossia restare sotto di 3 rispetto alla massima quota possibile.

“Faremo tutto il necessario per portare stabilità a questo mercato”, ha dichiarato il ministro del Petrolio saudita. Riad intende proteggere i prezzi: quando ad aprile fu già confermato il taglio produttivo, i prezzi ruotavano attorno ai 90 dollari al barile, ma nonostante le limitazioni auto-imposte dall’Opec sono continuati a scendere tra i 70 e gli 80. Per Riad è problematico, con un valore limite da non raggiungere mai: 50 dollari al barile. Il regno vuole evitare sorprese, in una fase in cui intende abbinare alla crescita economica (spinta anche dallo sconvolgimento del mercato energetico prodotto dalla guerra russa in Ucraina) anche un rafforzamento del suo standing internazionale. Per farlo abbina l’utile al dilettevole: Washington non è mai stato d’accordo sul taglio alla produzioni e dunque sul rialzo dei prezzi, perché crea problemi alla pompa – mai un bene in fase pre-elettorale e adesso mentre iniziano gli spostamenti estivi – e favorisce i guadagni russi. I vari tasselli, raccontano anche che Riad ha interessi diversi per sé e in parte per la regione.



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