In un audio di 11 minuti, il leader della Wagner spiega l’intenzione di difendere l’autonomia del gruppo e non quella di fare un colpo di Stato dietro all’ammutinamento di qualche giorno fa. Ma non mancano le critiche verso i dirigenti dell’apparato militare.
A 48 ore dalla fine della sua avventura in territorio russo, Yevgeny Prigozhin torna a farsi sentire con un audio di 11 minuti diffuso tramite Telegram. In questo lunghissimo messaggio registrato il capo della Wagner (che secondo alcune fonti sarebbe già arrivato a Minsk) fornisce la sua versione dei fatti, esplicando i motivi che lo hanno spinto a compiere quella che lui stesso ha definito come una “Marcia della Giustizia”.
Prigozhin riporta l’intento dell’establishment militare di Mosca (intento la cui esistenza era già stata evocata in passato) di assorbire nelle sue strutture le capacità militari e gli uomini del gruppo Wagner, che avrebbe dovuto essere disciolto a partire dal primo giorno del mese di luglio.
I comandanti del gruppo Wagner si sarebbero rifiutati di eseguire questi “ordini”, venendo in tutta risposta bersagliati da attacchi missilistici e dal fuoco di elicotteri: queste azioni avrebbero causato la morte di 30 uomini al servizio della PMC. In seguito a questi eventi l’intero gruppo avrebbe rapidamente deciso di reagire e di mettersi in marcia sia verso Rostov che verso la capitale, non con l’obiettivo di rovesciare il governo di Putin ma per rispondere alle provocazioni degli oramai giurati nemici dell’establishment militare, già oggetto degli attacchi di Prigozhin nelle settimane precedenti.
In un solo giorno la colonna della Wagner avrebbe percorso circa 780 chilometri, senza uccidere un solo soldato delle guarnigioni dell’esercito incontrate lungo la strada. Nell’enunciare l’intenzione di arrivare sino a Mosca per “mettere di fronte alle proprie responsabilità” i colpevoli dell’andamento disastroso dell’Operazione Militare Speciale, Prigozhin sottolinea non solo il fortissimo supporto popolare manifestato con bandiere e incitamenti, ma anche il sostegno da parte dei militari dell’esercito regolare, che li avrebbero spronati ad andare avanti mentre la colonna transitava davanti alle loro posizioni.
Riguardo ai velivoli abbattuti (di cui esistono testimonianze multimediali), il leader della PMC afferma di aver agito per pura autodifesa, e che il fuoco di contraerea che poi li ha effettivamente distrutti sarebbe effettivamente stato soltanto un fuoco di risposta.
Soltanto l’intervento delle unità Specnaz provenienti da Mosca, che avrebbero schierato i pezzi d’artiglieria ed eseguito le operazioni di acquisizione bersagli, sembrano aver convinto Prigozhin e i capi della Wagner a fermarsi per “evitare un bagno di sangue annunciato”. Convinti di aver dimostrato la propria risolutezza nell’opporsi al ministero della Difesa, i miliziani di Wagner avrebbero dunque fatto marcia indietro per due motivi principali. Il primo era l’evitare di versare inutilmente sangue russo. Il secondo era che, mentre loro avevano iniziato la Marcia della Giustizia per protestare, stavano venendo accusati di voler rovesciare il governo del Paese. A quel punto, l’intervento di Aleksandr Lukashenko come mediatore ha dato alla Wagner l’opportunità di riprendere le precedenti attività senza che la protesta avesse (apparentemente) conseguenze legali.
Dopo questo resoconto degli eventi Prigozhin continua il suo discorso, dichiarando come la situazione securitaria interna fosse estremamente fragile, con aeroporti e installazioni militari incapaci di qualsiasi tipo di azione; al contrario, la colonna della Wagner era riuscita in un solo giorno a percorrere 780 chilometri, una distanza più o meno equivalente a quella che all’inizio del conflitto separava Kyiv dalle linee russe, implicando che se le forze russe avessero avuto lo stesso morale e la stessa organizzazione di Wagner, forse l’Operazione Militare Speciale sarebbe finita molto prima.
“Vi abbiamo offerto una masterclass di come sarebbe dovuto andare realmente il 24 febbraio 2022”, sono le parole di chiusura di Yevgeny Prigozhin.