Quandanche non agiscano per sete di denaro, i mercenari non sono affidabili perché prima o dopo si lasceranno carezzare dall’ambizione politica, si legge nel Principe. L’analisi di Luciano Bozzo, professore di Relazioni internazionali e studi strategici presso l’Università degli Studi di Firenze
“E’ capitani mercenarii, o sono uomini eccellenti, o no: se sono, non te ne puoi fidare, perché sempre aspireranno alla grandezza propria, o con lo opprimere te che li se’ patrone o con opprimere altri fuora della tua intenzione”
Sono le parole che al capitolo XII del Principe Niccolò Machiavelli indirizza al suo principe ideale, scrivendo dei capitani di ventura. Quandanche non agiscano per sete di denaro, rivelandosi poi inetti e vili nel combattimento, che è la prima e nota critica del fiorentino ai mercenari, i comandanti “eccellenti” non sono affidabili. Forti dei loro successi, sicuri delle proprie doti, prima o dopo si lasceranno carezzare dall’ambizione politica, eserciteranno pressioni, adotteranno decisioni in proprio, vorranno infine sostituirsi al principe.
Nell’Italia del XV secolo non mancarono esempi di un simile genere di condottieri, da Braccio da Montone a Federico da Montefeltro e Vitellozzo Vitelli. Assimilare loro la figura di Evgenij Prigozhin sarebbe quantomeno azzardato, se non altro per la ben diversa levatura intellettuale di un Federico, e tuttavia quanto accade in queste ore in Russia difficilmente avrebbe sorpreso Machiavelli.
Quando Vladimir Putin si è affidato alla Wagner e al suo capo per decidere dell’esito di alcuni tra gli scontri più cruenti combattuti in Ucraina ha probabilmente sopravvalutato la lealtà del “cuoco del Cremlino” e parallelamente sottovalutato le sue ambizioni. Gli insuccessi, le gravi perdite patite e le inefficienze dimostrate dalle forze regolari russe, a fronte della feroce determinazione di cui hanno dato prova gli uomini della Wagner e delle loro vittorie sul campo, hanno contribuito ad accrescere quelle ambizioni. Prova ne sia che Prigozin si è sentito intitolato a criticare apertamente, a più riprese, il vertice militare della Federazione e la maniera in cui la guerra è condotta per il conseguimento degli obbiettivi dichiarati, ovvero la strategia. Cosa che ovviamente equivale a criticarne la direzione politica e che ha suscitato la reazione di Putin.
Gli eventi di Rostov inducono tuttavia ad alcune riflessioni di natura più generale. La spinta alla ri-privatizzazione dell’uso della violenza, che inverte il lungo processo storico grazie al quale lo Stato moderno ne evocò a sé l’uso esclusivo e legittimo, non è caratteristica del solo Occidente. A causa dell’effetto congiunto di crollo demografico, crisi dei valori tradizionali e diffondersi di stili di vita consumistici, se non edonistici, anche nelle aree più sviluppate e urbanizzate della Russia è iniziata l’età “post-eroica”. Putin incontrerebbe serie difficoltà, di cui ha mostrato di essere conscio nei passati 16 mesi di guerra, ove intendesse reclutare giovani nelle maggiori città russe per inviarli a combattere l’”Occidente collettivo”, a difesa dei valori della Tradizione. Questo checché ne scrivano i guru del pensiero geopolitico russo o ne dica la propaganda di Mosca e nonostante le benedizioni del patriarca Kirill.
Le prossime ore dovrebbero consentire di meglio comprendere cosa davvero sta accadendo. Certo è che la resistenza dell’Ucraina e il prolungarsi della guerra, col continuo aumento dei già altissimi costi e perdite che essa comporta, senza che ciò abbia consentito di raggiungere un esito che possa giustificarne la prosecuzione da parte russa, ha scatenato la lotta interna per il potere. Dopo tutto la rivoluzione bolscevica fu conseguenza di tre anni di guerra disastrosa dell’impero russo contro le potenze centrali. Putin deve ora lottare per mantenere il potere e la vita stessa.
Come in ogni momento topico della sua plurisecolare vicenda storica la Russia potrebbe nuovamente piombare nel caos: lo scontro tra forze armate e milizie, o tra componenti delle stesse forze armate e di sicurezza, a loro volta alleate con milizie diverse (i ceceni di Ramzan Kadyrov paiono ancora a fianco di Putin). È assai dubbio, infatti, che Prigozin abbia deciso di prendere l’iniziativa contando solo sui suoi uomini. Se uno scenario di questo genere prendesse corpo le conseguenze potrebbero essere del massimo rilievo. Il fronte in Ucraina potrebbe crollare, con tutte le conseguenze del caso, ma è il già precario, instabile assetto internazionale che verrebbe messo in discussione. Il tentativo di costruire un fronte anti-egemonico, diretto contro gli Stati Uniti e i loro alleati, ne risulterebbe gravemente pregiudicato. In particolare, la Cina verrebbe a trovarsi in posizione incerta, con una vasta area d’instabilità ai propri confini settentrionali. Turchia e India si riorienterebbero verso l’Occidente, l’Iran rimarrebbe isolato.
E la Federazione Russa? Un Paese dalle risorse pressoché infinite, ma con un prodotto interno lordo in sostanza analogo a quello della Corea del Sud, un apparato militare ipertrofico rivelatosi inefficiente, la tradizione autocratica, le milizie private, caos interno e ruolo presumibilmente decisivo delle forze armate: per comprendere oggi la Federazione occorre guardare più all’America Latina che all’Europa.