È colpa nostra di quanto sta accadendo? No, ma noi ci abbiamo messo del nostro, in particolare un sacco di soldi. Il corsivo di Roberto Arditti
Trovo ammirevole lo sforzo di tutti quelli che cercano di analizzare o commentare vicende che accadono a grande distanza da noi, ma d’altronde è necessario perché lo richiede il funzionamento dei media ed anche dei social network.
Ci troviamo infatti ad una distanza che non è tanto rilevante nei chilometri che ci separano da Rostov o da Mosca, quanto nella monumentale cortina di bugie, trucchi, fake news e trappole di vario genere che appesta l’aria di tutte queste orrende storiacce russe, logica conseguenza di un sistema di potere immerso in una ricchezza mostruosa (alimentata da petrolio e gas) ad esclusivo beneficio di una élite mafiosa, corrotta ed immorale.
Non perdo tempo né a ragionare su quanto sta accadendo né, men che meno, nel fare previsioni sul futuro: saranno i fatti a dircelo con implacabile precisione.
Voglio però dedicare un riflessione su di noi: noi italiani con la nostra classe dirigente, noi europei a corrente alternata, noi democratici e liberali a spizzichi e bocconi.
E non mi interessa neanche prendermela con quelli che hanno inneggiato per anni a Putin, perché se è vero che Berlusconi e Salvini l’hanno fatto in modo esplicito è anche altrettanto vero che nessuno, dico nessuno, di quelli che sono arrivati a Palazzo Chigi prima del 2022 ha mai messo il boss del Cremlino all’indice. Non Prodi, non Renzi, non D’Alema, non Monti, non Gentiloni, non Letta.
La verità è che mentre assistiamo ai contorcimenti di una dittatura che vede la corte dell’imperatore dilaniata da lotte intestine brutali e disumane, noi che siamo qui, a ovest di Kiev, di Rostov, di Minsk, San Pietroburgo e Mosca, dovremmo fare i conti con il fatto che quella inguardabile classe dirigente ha vissuto e prosperato anche grazie a centinaia di miliardi di euro che per tre decenni abbiamo riversato nelle casse russe, accettando senza batter ciglio un’involuzione autoritaria del potere al Cremlino che dopo la timida incursione di semi democratici negli anni di Gorbaciov e Eltsin ha virato verso quello che a Mosca regna da sempre: cioè il potere assoluto dello Zar investito da Dio o quello di Stalin glorificato dalla Rivoluzione o quello di Putin pompato dai soldi dei suoi clienti al mercato dell’energia, delle materie prime e dei prodotti agricoli (quest’ultima voce nel 2021 è arrivata ai 37 miliardi di euro).
Abbiamo accolto Putin con tutti gli onori e abbiamo fatto finta di non vedere, di non sentire, di non capire. Abbiamo lasciato i suoi oppositori a marcire nelle celle delle peggiori prigioni russe, dove nessuno di noi resisterebbe per una settimana. Abbiamo assistito con divertito e cinico compiacimento ad una incredibile serie di omicidi senza colpevole tutti diversi tra loro ma tutti collegati da un elemento certo: figure in qualche modo riconducibili all’establishment russo. Abbiamo alimentato la nostra industria con petrolio e gas a buon prezzo lasciando soffocare nella culla i primi vagiti di un sistema vagamente plurale che negli anni ‘90 provava a prendere forma in Russia, ma che i democratici della Vecchia Europa hanno sacrificato in nome del vantaggio economico.
Lo abbiamo fatto noi italiani con le nostre enormi importazioni di gas, lo hanno fatto i tedeschi con le relazioni speciali di Angela Merkel, lo hanno fatto gli inglesi che hanno accettato l’invasione degli oligarchi a Londra, che tanto li ha infastiditi nella forma quanto gli ha fatto comodo nella sostanza.
È dunque colpa nostra quanto sta accadendo?
No, certo che no. Con buona pace delle ridicole analisi di Orsini e di tutti gli altri ammirati dai bagliori dei marmi e degli ori del Cremlino, la colpa è russa in tutto e per tutto, perché quelli cui stiamo assistendo sono i tipici contorcimenti di quando una dittatura va in corto circuito.
Ma noi ci abbiamo messo del nostro, in particolare un sacco di soldi.
E allora dobbiamo imparare la lezione (si veda alla voce acquisti di gas dall’Algeria): non usare la forza economica dell’Occidente per pretendere riforme democratiche in giro per il mondo non è soltanto indecente, è soprattutto pericoloso.
Oggi ci ritroviamo con il più grande arsenale nucleare esistente che dalle mani di Putin potrebbe passare in quelle di Progozhin o di qualcun altro.
E non mi pare un passo avanti.