Skip to main content

Frammentazione e Lep in bilico. I rischi del regionalismo secondo Bassu

La frammentazione di materie strategiche come sanità e previdenza rischia di produrre conseguenze di sperequazione in termini di accesso ai servizi o godimento dei diritti sul territorio nazionale. Una parcellizzazione delle materie ottenuta in ragione di negoziazioni bilaterali tra lo Stato e la singola Regione interessata non sembra in linea con l’obiettivo di chiarezza e affidabilità del sistema. Conversazione con la costituzionalista Carla Bassu

Un altro ostacolo sulla strada dell’autonomia differenziata. La valutazione di criticità – esplicitata in diversi punti – arriva dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Sono diversi i punti sui quali i tecnici eccepiscono, a partire dal rischio – in caso di approvazione del ddl Calderoli così come è stato formulato – che si creino “divari territoriali” e che a pagarne le spese siano in particolare le imprese. In grossa difficoltà, stando a quanto rilevato dall’ufficio parlamentare, sarebbe anche la previdenza minacciata da un quadro normativo che depotenzierebbe in modo esasperato le funzioni dello Stato. Ovviamente, questo depotenziamento porterebbe un indebolimento degli organismi centrali non solo sulle materie di competenza concorrente, ma più in generale su tutte le azioni che lo Stato potrebbe mettere in campo anche in situazioni emergenziali. Proprio sul regionalismo, la fondazione Per (progresso, Europa, Riforme) ha da poco elaborato diversi contributi. Su questi temi, Formiche.net ha interpellato Carla Bassu, docente di diritto pubblico comparato all’università di Sassari.

Professoressa Bassu, l’ufficio parlamentare di Bilancio contesta al ddl Calderoli sull’autonomia diverse questioni. Quella che salta per prima agli occhi è legata al mondo produttivo. Secondo lei, se dovesse passare questa riforma, in che modo verrebbero ostacolate le imprese?

In generale, la stabilità istituzionale è requisito primario per il sostegno dell’economia interna e la presenza di una cornice organica di norme chiare favorisce il lavoro di chi fa impresa, costituendo un humus incline ad attirare investimenti anche dall’estero. La frammentazione derivante dalla ripartizione eterogenea di competenze di ampio respiro e di importanza strategica (penso, per esempio, a politiche energetiche, sanità, istruzione, tutela dell’ambiente e beni culturali) può rappresentare un ostacolo per le imprese, spesso già gravate da burocrazie complesse.

Recentemente, la fondazione Progresso, Europa Riforme ha elaborato diversi quaderni proprio sul tema del regionalismo. Lei parla di “asimmetria”. Che cosa s’intende dire?

L’autonomia differenziata oggetto del Ddl Calderoli riguarda proprio l’asimmetria nella ripartizione di competenze tra le diverse Regioni; si tratta di una caratteristica che contraddistingue il nostro ordinamento già dal 1948, quando le madri e i padri costituenti riconobbero le Regioni a Statuto speciale. Dopo la riforma del 2001 anche le Regioni ordinarie possono richiedere ulteriori forme e condizioni di autonomia in 23 materie, secondo il percorso delineato dall’art. 116 della Costituzione.

Uno dei rilievi dell’ufficio parlamentare è legato alla capacità redistributiva dello Stato sul versante sanitario e previdenziale. Quanto è concreto questo rischio?

Questo rappresenta senz’altro uno degli aspetti più delicati della questione. La concessione di autonomia potenziata, secondo uno schema differenziato, alle Regioni ordinarie che ne facciano richiesta non può senz’altro considerarsi una questione bilaterale che coinvolge in via esclusiva l’ente territoriale che presenta l’istanza e lo Stato, dal momento che gli effetti della diversificazione saranno subiti su tutto il territorio. La frammentazione di materie strategiche come sanità e previdenza rischia di produrre conseguenze di sperequazione in termini di accesso ai servizi o godimento dei diritti sul territorio nazionale.

 Tra le rassicurazioni arrivate da (parti) del governo c’è la garanzia che i Lep non verranno scalfiti. È verosimile nella prospettiva della riforma che introduce il ddl così come è formulato?

Occorre procedere con estrema cautela e attenzione ai minimi dettagli perché si tratta di indicatori della effettiva salvaguardia dei diritti civili e sociali che – a norma di Costituzione – devono essere assicurati in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. La precisazione di tali soglie minime di garanzia è strumentale rispetto al perseguimento dei fini di unità economica e coesione sociale, che rappresentano elementi cardine dell’ordinamento. Non si trascuri che in capo alla Repubblica incombe il dovere generale di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’eguaglianza sostanziale delle persone (art. 3, comma 2 Cost.) in un’ottica di solidarietà che impronta il nostro ordinamento (art. 2 Cost.). Pragmaticamente, i Lep rappresentano vere e proprie prescrizioni alle quali le Regioni si devono conformare nella formulazione dei bilanci e nell’attività di gestione generale. Si tratta di campi cruciali nella vita di ognuno quali, per esempio, la sanità; l’assistenza sociale, l’istruzione, il regime di previdenza.

C’è la preoccupazione di una potenziale “bagarre” nel rapporto tra i vari livelli di governo. Prevede che possa esserci in effetti un problema legato al rapporto fra istituzioni “centrali” e territoriali?

I rapporti tra diversi livelli di governo dovrebbero improntarsi al principio di leale collaborazione, cosa che non sempre accade (si pensi a quanto successo durante la pandemia) e la conflittualità tra Stato e Regioni non è favorita dalla porosità delle materie e dalla confusione che talora si ravvisa nella titolarità delle competenze legislative.

La riforma del Titolo V è da anni un refrain abbastanza ricorrente. Come andrebbe modificato, qualora ce ne fosse la reale necessità, per evitare tutti questi inciampi?

L’imponente contenzioso sui conflitti di competenza tra Stato e Regioni pendente di fronte alla Corte Costituzionale segnala la necessità di una razionalizzazione. Occorrerebbe mettere ordine tra le materie secondo criteri di ragionevolezza e guardando all’efficienza del sistema nella sua organicità. Una parcellizzazione delle materie ottenuta in ragione di negoziazioni bilaterali tra lo Stato e la singola Regione interessata non sembra in linea con l’obiettivo di chiarezza e affidabilità del sistema.

×

Iscriviti alla newsletter