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Le mani russe sulle imprese d’Occidente. Putin e la nazionalizzazione forzata

Fino a oggi la possibilità di un esproprio di Stato delle imprese straniere e sgradite al Cremlino, ancora operative nella Federazione, era rimasta solo sulla carta. Ma ora sembra esserci una svolta. E anche la Bce se ne è accorta​

La mossa sa di rabbia. Quando si è alle corde, d’altronde, per qualcuno valgono anche i colpi sotto la cintura. E così, dopo aver minacciato per mesi, alla fine la Russia adotterà tutti i poteri in suo possesso per sequestrare beni di società occidentali definite cattive e renderà loro più difficile l’uscita dal Paese.

Obiettivo, così come Europa e Stati Uniti hanno messo sotto chiave centinaia di miliardi di liquidità russa detenuta nelle banche al di fuori dalla Federazione (circa 300 miliardi di dollari), congelare gli asset occidentali in terra russa. Il Cremlino la scorsa settimana ha ordinato segretamente una legislazione d’emergenza per consentire l’appropriazione di beni occidentali a prezzi stracciati. In altre parole, si tratta ex lege di consentire allo Stato russo di comprare a prezzi di saldo quote azionarie nelle ultime grandi società straniere rimaste attive in Russia.

Lo staff economico incaricato da Vladimir Putin di studiare questa sorta di nazionalizzazione su larga scala punta tutto sull’aspetto psicologico. Ovvero, impaurire le società straniere affinché continuino a fare affari con Mosca, non lasciando il Paese. Lo stesso decreto che apre la strada a una statalizzazione coatta richiede inoltre che tutti gli acquirenti privati ​​di beni occidentali siano interamente di nazionalità russa, con residenza in loco. Qualora questo non si verifichi, subentrerà il Cremlino direttamente, in veste di azionista.

E pensare che Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, ha ribadito che  le società occidentali sono “più che benvenute” in Russia. “Se un’azienda non adempie ai propri obblighi, allora, ovviamente, rientra nella categoria delle aziende cattive”, ha detto Peskov. “Diciamo addio a quelle aziende. E quello che facciamo con le loro risorse dopo è affar nostro”. Tra i sostenitori della prima ora della nazionalizzazione come disincentivo a lasciare il Paese, c’è Elvira Nabiullina, governatore della banca centrale russa. La quale sa benissimo che una fuga delle ultime aziende occidentali in loco porterebbe a un ulteriore indebolimento del rublo. Cosa che Mosca non può permettersi.

Tutto questo mentre proprio pochi giorni fa il presidente del consiglio di sorveglianza della Bce, Andrea Enria, ha sollecitato le poche banche occidentali ancora operative in Russia a fare i bagagli. “Penso che sia importante che le banche rimangano molto concentrate sulla riduzione ulteriore delle loro esposizioni e, idealmente, sull’uscita dal mercato russo il prima possibile”, ha detto a una conferenza Enria. Perché, va detto, a più di un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, una manciata di banche europee, tra cui l’austriaca Raiffeisen Bank International e l’italiana Unicredit, sono ancora presenti nell’ex Urss.


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