Il sinodo di ottobre si occuperà di come rendere sinodale tutta la Chiesa. Cosa vuol dire? Sinodo viene dal greco, vuol dire “camminare insieme”. Nel documento di lavoro che è stato appena pubblicato emergono domande, ma anche certezze. Ecco quali nella riflessione di Riccardo Cristiano
Per il pontificato di Francesco si avvicina uno dei momenti decisivi. È ormai imminente infatti l’apertura, ad ottobre, del sinodo universale della Chiesa cattolica sulla sinodalità, dopo che il tema è stato discusso nelle parrocchie e nelle strutture territoriali di tutto il mondo.
Un sinodo che si occuperà di come rendere sinodale tutta la Chiesa. Cosa vuol dire? Sinodo viene dal greco, vuol dire “camminare insieme”. E per camminare insieme è evidente che nessuno può essere lasciato indietro, né estromesso. Dunque nel documento di lavoro che viene posto alla base del sinodo di ottobre e che è stato appena pubblicato emergono domande, ma anche certezze. Una Chiesa sinodale, nella quale si cammina insieme, riconosce e valorizza il valore dei poveri, cioè di chi vive in condizione di indigenza ed esclusione sociale. Da questa certezza, proprio dell’idea di camminare davvero insieme, emergono però domande ulteriori: come risvegliare la consapevolezza che le opere di giustizia e di carità sono partecipazione alla missione di Cristo?
In un quadro del genere è evidente che la questione dei migranti non è seconda a nessuna, ma si unisce a quella della cura del creato e alla riconciliazione nei luoghi di conflitto. Inoltre, per quanto riguarda l’esclusione, è evidente il risalto dato al problema di chi non è eterosessuale come di chi nella Chiesa ha subito abusi, una ferita che non basta denunciare per sanare. Infatti si legge: “I Documenti finali delle Assemblee continentali menzionano spesso coloro che non si sentono accettati nella Chiesa, come i divorziati e risposati, le persone in matrimonio poligamico o le persone LGBTQ+: […] infine, i documenti delle Assemblee continentali osservano che è necessario mantenere il legame tra conversione sinodale e cura delle vittime e delle persone emarginate all’interno della Chiesa; in particolare danno grande enfasi alla necessità di imparare a esercitare la giustizia come forma di accoglienza di coloro che sono stati feriti da membri della Chiesa, in particolare vittime e sopravvissuti di tutte le forme di abuso”.
Il discorso che parte di qui si allarga, arriva ai conflitti; e allora fa emergere ulteriori domande poste ai padri sinodali; ne cito due , sui due temi più scottanti: “Come possiamo far risuonare una voce profetica nello svelare le cause del male senza frammentare ulteriormente le nostre comunità? Come possiamo diventare una Chiesa che non nasconde i conflitti e non ha paura di salvaguardare spazi per il disaccordo? […] Come possiamo continuare a fare passi concreti per offrire giustizia a vittime e sopravvissuti degli abusi sessuali, spirituali, economici, di potere e di coscienza compiuti da persone che stavano svolgendo un ministero o un incarico ecclesiale?”.
Basta questo per capire la portata del sinodo che si aprirà ad ottobre? Non penso. Occorre almeno leggere le parole con cui il documento si apre: “Il Popolo di Dio si è messo in cammino da quando, il 10 ottobre 2021, Papa Francesco ha convocato la Chiesa intera in Sinodo. A partire dai contesti e ambiti vitali, le Chiese locali di tutto il mondo hanno avviato la consultazione del Popolo di Dio, sulla base dell’interrogativo di fondo formulato al n. 2: «come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale), quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?»”.
Dunque è il “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo. Questo vuol dire che la Chiesa gerarchica, piramidale e tutta clericale, non lo può più fare efficacemente? È quel che personalmente ritengo: il paradigma romano, di epoca medievale, deve cedere il passo a un nuovo paradigma, che trova la sua forza nel ricordo di come fosse la Chiesa ai suoi inizi. Ma per capirsi bisogna familiarizzare con questo termine decisivo: voglio tentare di farlo a partire da uno dei più rilevanti punti di arrivo delle tante questioni che il documento preparatorio propone: “In che modo va esercitato il servizio dell’unità affidato al Vescovo di Roma quando istanze locali dovessero assumere orientamenti tra loro difformi? Quali spazi vi sono per una varietà di orientamenti tra regioni diverse?”. Chi pensava che una discussione del genere fosse ipotizzabile?
Abbiamo detto cosa vuol dire sinodo, camminare insieme. Ma oltre all’ “insieme con chi”, va chiarito insieme tra chi. Tra tutti i battezzati: maschi, femmine, ordinati, laici, cittadini del nord e del sud del mondo, dell’Oriente e dell’Occidente. Come possono camminare insieme tutti costoro? Seguendo un unico metodo, un paradigma universalmente valido? Questa a me sembra la questione decisiva, che il documento affronta.
Le fasi dell’ascolto sui territori infatti si sono concluse. Parrocchie, diocesi, conferenze episcopali nazionali e continentali, hanno dato i loro contributi. Ora viene pubblicato questo documento per consentire ai partecipanti ai lavori di ottobre di discutere, o meglio “discernere”, come questo testo sottolinea sempre. Infatti ciò che contiene sono domande, che però già ponendosi superano un sistema che le impediva. Infatti si chiarisce che questo testo non è stato elaborato “a Roma”, bensì articola “ alcune delle priorità emerse dall’ascolto del Popolo di Dio, ma non in forma di asserzioni o prese di posizione. Le esprime invece come domande rivolte all’Assemblea sinodale, che avrà il compito di operare un discernimento per identificare alcuni passi concreti per continuare a crescere come Chiesa sinodale, passi che sottoporrà poi al Santo Padre”.
Non si può qui presentare tutto il cammino teologico che spiega cosa sia il camminare insieme. Dobbiamo necessariamente passare ad alcune domande che vengono poste e che appaiono decisive. Sono quelle dell’ultima parte del documento.
La parte in questione non può che partire da quanto si afferma al riguardo del ruolo dei non ordinati, cioè dei laici: “Appare con evidenza la richiesta di superare una visione che riserva ai soli ministri ordinati (vescovi, presbiteri, diaconi) ogni funzione attiva nella Chiesa, riducendo la partecipazione dei Battezzati a una collaborazione subordinata. Senza sminuire l’apprezzamento per il dono del Sacramento dell’Ordine, i ministeri sono compresi a partire da una concezione ministeriale della Chiesa intera. Emerge una serena ricezione del Concilio Vaticano II, con il riconoscimento della dignità battesimale come fondamento della partecipazione di tutti alla vita della Chiesa.
La dignità battesimale viene facilmente collegata al sacerdozio comune come radice dei ministeri battesimali, e si riafferma la necessaria relazione tra Sacerdozio comune e Sacerdozio ministeriale, che sono ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo”.
Qui si pone ovviamente il problema di un nuovo ruolo per le donne nella Chiesa, senza con questo toccare il sacerdozio femminile. Infatti ecco alcuni spunti proposti: “Quali passi concreti può compiere la Chiesa per rinnovare e riformare le proprie procedure, dispositivi istituzionali e strutture in modo da permettere un maggiore riconoscimento e partecipazione delle donne, anche al governo e a tutte le fasi dei processi decisionali, inclusa la presa di decisioni, in uno spirito di comunione e in vista della missione? […] Tutte le Assemblee continentali chiedono di affrontare la questione della partecipazione delle donne al governo, ai processi decisionali, alla missione e ai ministeri a tutti i livelli della Chiesa, con il sostegno di adeguate strutture in modo che questo non resti solo un’aspirazione generale. In che modo le donne possono essere incluse in ognuna di queste aree in numero più consistente e in modi nuovi? Come nella vita consacrata le donne possono essere meglio rappresentate nella governance e nei processi decisionali, meglio protette da forme di abuso e anche più equamente remunerate per il loro lavoro?[…] Quali nuovi ministeri si potrebbero creare per fornire mezzi e opportunità per un’effettiva partecipazione delle donne al discernimento e agli organi decisionali? Come si può accrescere la corresponsabilità nei processi decisionali in luoghi remoti e in contesti sociali problematici, dove le donne sono spesso gli agenti principali della pastorale e dell’evangelizzazione”.
Siamo alle domande decisive: “Come rendere l’ascolto del Popolo di Dio la forma abituale per realizzare i processi decisionali nella Chiesa a tutti i livelli della sua vita? […] Che grado di autorità dottrinale può essere attribuito al discernimento di un’Assemblea continentale? O degli organismi che riuniscono le Conferenze Episcopali su scala continentale o comunque internazionale? […] Quale ruolo ricopre il Vescovo di Roma rispetto a questi processi che interessano raggruppamenti di Chiese? Con quali modalità lo può esercitare? […] In che misura la convergenza di più raggruppamenti di Chiese locali sulla medesima questione impegna il Vescovo di Roma ad assumerla per la Chiesa universale? […] In che misura la convergenza di più raggruppamenti di Chiese locali sulla medesima questione impegna il Vescovo di Roma ad assumerla per la Chiesa universale?”.
L’idea di un sano decentramento è già stata enunciata da Francesco. Ma quanto sarà possibile? È uno dei punti, chiaramente, da discutere.