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Cosa possono imparare gli Usa (ma non solo loro) dal crack di Svb​

Una lunga analisi dell’economista Mark Copelovitch, dell’Università del Wisconsin, mette in luce tutti gli errori della vigilanza statunitense nel prevenire le crisi che hanno riportato in vita lo spettro di Lehman Brothers. Scivoloni da non ripetere

Sì, gli Stati Uniti hanno appena evitato per un soffio il default. E sì, le crisi bancarie che due mesi fa hanno per un attimo fatto rivivere i fantasmi di Lehman Brothers, sono almeno per il momento sotto controllo. Ma se proprio si vuol dormire sonni tranquilli, allora bisogna imparare la lezione, almeno sulle banche. Non potrebbe esserne più convinto Mark Copelovitch, economista e professore di scienze politiche e affari pubblici all’Università Jean Monnet e all’Università del Wisconsin-Madison e autore di una lunga riflessione sul crack di Svb Bank e First Republic.

LA POLITICA HA FATTO LA SUA PARTE. MA…

“Negli ultimi tre mesi, tre delle 30 maggiori banche degli Stati Uniti sono fallite: la Silicon Valley Bank, con un patrimonio di 209 miliardi di dollari, Signature Bank, con 110 miliardi e First Republic Bank, con 213 miliardi. La corsa agli sportelli di Svb a marzo è stata la più grande nella storia degli Stati Uniti, quasi tre volte quella della Washington Mutual Bank nel 2008, che ha totalizzato 16,7 miliardi di dollari di prelievi in 10 giorni”, premette l’economista.

“La risposta politica del governo degli Stati Uniti a questi fallimenti bancari è stata ampia e aggressiva. Chiaramente, la Federal Reserve e l’amministrazione del presidente Joe Biden sono state determinate a non ripetere gli errori e le conseguenti turbolenze della crisi finanziaria globale del 2008. Tuttavia questi fallimenti e le risposte politiche fino ad oggi messe in campo, ci hanno insegnato diverse lezioni importanti sul motivo per cui tali crisi continuano a verificarsi negli Stati Uniti e su come i politici possono agire per interrompere questo ciclo autodistruttivo”, scrive Copelovitch.

ANATOMIA DI UN FALLIMENTO

“In primo luogo, nonostante la tendenza frequente in ogni nuova crisi bancaria a proclamare che questa volta è diverso, le cause di questi recenti crack bancari non sono né particolarmente nuove né sorprendenti. Come ha spiegato Noah Smith (analista e giornalista americano, ndr), il fallimento di Svb è stato un qualcosa di molto normale ma in una banca molto insolita. Ciò che rendeva Svb insolita era che la maggior parte dei suoi depositi erano conti di grandi dimensioni di società tecnologiche e startup della Silicon Valley senza entrate, invece di individui o società con flusso di cassa positivo. Di conseguenza, il 93% dei depositi di Svb non era assicurato, rendendola molto vulnerabile per colpa della mancata corrispondenza tra la propria strategia di investimento a lungo termine e i problemi di liquidità a breve termine dei suoi depositanti”.

“Eppure, a parte questo, la stessa Svb era una banca commerciale piuttosto banale. Il suo fallimento non è stato dovuto a complesse attività di investimento, come l’esposizione ai titoli garantiti da ipoteca e ad altre obbligazioni di debito garantite. Insomma, mentre la base di depositanti di Svb era unica e altamente concentrata nelle startup della Silicon Valley, il fallimento stesso era roba che abbiamo visto ripetutamente per molti decenni negli Stati Uniti e altrove”, mette in chiaro l’economista.

LEZIONI AMERICANE

Ora, quale la lezione? “Sebbene i recenti fallimenti bancari non abbiano innescato una crisi bancaria nazionale o globale della portata del crollo del 2008, hanno messo in luce debolezze sistemiche che devono essere affrontate in futuro. I successivi fallimenti di Silvergate Capital e Signature Bank , due istituti profondamente esposti al mercato delle criptovalute, hanno seguito schemi simili. Come con Svb, la focalizzazione su una base di clienti ristretta e settori di attività di nicchia rischiosi è finita male. La prima lezione chiave è che le grandi banche i cui depositi superano di gran lunga il livello di assicurazione non sono costruite per resistere anche a modesti aumenti dei tassi di interesse a fronte di un’inflazione modesta”.

Non è finita. “Una seconda importante lezione è che questi recenti casi rappresentano un grave fallimento normativo. Nonostante i loro insoliti modelli di business, tutte le banche che sono fallite hanno una cosa in comune: sono esattamente la classe di banche – quelle con meno di 250 miliardi di attività – che il Congresso ha deregolamentato nel 2018, quando ha parzialmente annullato la legge progettata per rafforzare la regolamentazione prudenziale del settore bancario sulla scia della crisi finanziaria globale”.

Tradotto, “la legge del 2018 ha abbassato i requisiti per l’ammontare delle riserve di liquidità che queste banche dovevano tenere a portata di mano per proteggersi dagli shock, come gli aumenti dei tassi di interesse che hanno provocato il fallimento di Svb. All’epoca, Randal Quarles, allora vicepresidente della supervisione finanziaria presso la Federal Reserve nominato dall’allora presidente Donald Trump, sostenne questa deregolamentazione, che considerava un affinamento  tanto necessario per liberare le banche dalle regole post-crisi eccessivamente rigide . Al contrario, l’allora vicepresidente della Federal Reserve Lael Brainard, ora direttore del Consiglio economico nazionale di Biden, si oppose. Brainard aveva ragione e Quarles aveva torto”.

“Una terza lezione è che le garanzie di assicurazione dei depositi parziali del Fondo federale per la tutela degli stessi depositi, non sono credibili.  È attualmente in corso un acceso dibattito sull’opportunità di rendere esplicita questa garanzia implicita di piena assicurazione sui depositi. Prese insieme, queste tre lezioni suggeriscono una quarta lezione: il sistema bancario statunitense non dispone ancora di sufficienti riserve di capitale per proteggersi completamente da shock anche modesti, come il recente aumento dell’inflazione e dei rialzi dei tassi di interesse. Sebbene i fallimenti bancari finora non abbiano minimamente innescato una crisi bancaria nazionale o globale della portata del crollo del 2008, hanno chiaramente sollevato preoccupazioni e messo in luce debolezze sistemiche”.

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