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Banche americane, così Powell gioca di sponda con Biden

Il governatore della Federal Reserve, di rientro da Sintra, ammette le falle della vigilanza e sposa la causa democratica per una riforma del sistema bancario nazionale. Ora più supervisione e più capitale

Ora lo sanno anche alla Federal Reserve. Anzi, forse lo hanno sempre saputo che il sistema bancario americano avrebbe bisogno di una bella messa a punto, dopo i drammatici crack di inizio primavera, a partire da quello della Silicon Valley Bank. Jerome Powell è appena tornato da Sintra, Portogallo, reduce da tre giorni di incontri con i banchieri centrali più importanti. Un vertice che ha sancito l’improvviso nuovo allineamento tra la politica monetaria statunitense e quella europea, targata Bce: tassi ancora su, senza indugiare.

E il primo pensiero che gli deve essere passato per la testa deve essere stato proprio la salute del credito statunitense, riscopertosi improvvisamente fragile e pieno di falle, da non sottovalutare. “I fallimenti bancari hanno suggerito la necessità di rafforzare la nostra supervisione e regolamentazione delle istituzioni delle dimensioni di Svb”, ha chiarito Powell da Madrid, subito prima di tornare in terra americana.

“Non vedo l’ora di valutare proposte per tali modifiche e implementarli ove appropriato”, ha aggiunto. Il numero uno della Banca centrale Usa sa bene che la Fed è stata criticata da non pochi economisti negli ultimi mesi per il suo ruolo nell’allentamento della vigilanza e della regolamentazione delle banche di medie dimensioni. E per questo Powell si è affrettato a mettere le mani avanti, anticipando misure che evitino a tutti i costi la sottocapitalizzazione degli istituti e garantiscano i depositi, a prescindere dall’importo.

Una sponda, quella di Powell, che sarà certamente gradita ai democratici del presidente Joe Biden, che hanno deciso di correre ai ripari, tentando una nuova riforma del sistema bancario statunitense, prima che altri casi Svb possano terremotare ancora la prima economia globale. Tanto per cominciare dopo il crollo di Silicon Valley Bank, Signature e First Republic, i cui depositi non assicurati sono stati tutti garantiti dalla Federal Deposit Insurance Corporation, i democratici hanno lanciato l’appello delle banche più piccole, sostenendo che l’assicurazione dovrebbe applicarsi a tutti i depositi statunitensi, anche quelli sopra i 250mila dollari.

“I recenti fallimenti bancari hanno riacceso le preoccupazioni riguardo a una garanzia implicita in cui solo i depositi presso le banche più grandi saranno affidabili in caso di fallimento”, aveva giorni fa dichiarato la dem Maxine Waters, membro del Comitato per i servizi finanziari della Camera. Waters ha inoltre appoggiato alcune misure, tra cui una specie di polizza per la copertura dei conti correnti per le società in fase di avviamento. Tradotto, per le imprese ancora giovani e dalle finanze non troppo solide, in caso di crisi bancaria, la liquidità verrebbe in ogni caso garantita dallo Stato.

E pare esserci anche una prima sponda repubblicana. Il partito dell’elefante ha dato infatti il proprio sostegno all’idea di estendere l’assicurazione dei depositi a tutto il settore bancario, anche agli importi superiori ai 250mila dollari.

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