Per Gabriele Natalizia, professore di Relazioni internazionali della Sapienza, il messaggio che arriva da quella che si è, per cause di forza maggiore, trasformata in una visita-lampo di Tajani è che “Italia e Stati Uniti hanno un legame valoriale forte, che spazia dalla difesa della libertà a quella della democrazia, divenuto ancor più tangibile che in passato dopo i tragici fatti che hanno preso forma a partire dal 24 febbraio 2022”
La morte inattesa di Silvio Berlusconi ha accorciato i tempi del viaggio del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, a Washington. Della visita resta tuttavia una delle tappe fondamentali: l’incontro con il segretario di Stato Antony Blinken. Da qui esce quella “solidarietà strategica” di cui i due hanno parlato. Appuntamento determinante da cui passano una serie di dossier in agenda, sia pratici – come l’organizzazione del viaggio negli Usa della presidene del Consiglio Giorgia Meloni e un sostanziale coordinamento prima di vertici importanti, come quello Nato di Vilnius e il G20 – che strategici.
“Oggi è un momento molto difficile per me e per l’Italia, sono grato al segretario Blinken per la flessibilità”, ha detto Tajani: “Stare qui è un modo di ricordare l’amicizia di Berlusconi per gli Stati Uniti, che di fronte al Congresso ribadì la lunga storia di relazioni politiche fra i nostri Paesi, dove si fondono le nostre visioni di democrazia e di libertà”.
Italia e Stati Uniti vivono rapporti regolari, ossia buoni e riassunti con immagini efficaci nell’atteggiamento pubblico che il presidente Joe Biden tiene nei confronti di Meloni. Tuttavia ci sono file da coordinare, a cominciare da quello cinese. In questa seconda metà di anno, il governo italiano è chiamato a decidere su cosa fare del Memorandum of Understanding con cui nel 2019 (governo Conte-1) l’Italia aderì alla Belt & Road Initiative – l’infrastruttura geopolitica cinese per collegare la Repubblica popolare all’Europa, considerata un segmento delle ambizioni globali di Pechino e osteggiata da Washington.
Se lo scopo è puramente commerciale, come rivendicano i diplomatici cinesi impegnati a sottolineare i benefici dell’adesione (che dovrà essere confermata o meno entro dicembre, a meno non si voglia un rinnovo tacito), allora i possibili dialoghi con il mondo trade statunitense, assume un ulteriore valore. Washington non pressa pubblicamente l’Italia, ma ha inviato più di un segnale. Il messaggio è: rinunciate alla Via della Seta e avrete la sponda dell’America contro eventuali coercizioni economiche cinesi. Coercizioni che, sebbene siano parte delle preoccupazioni italiane, non è detto che Pechino abbia interesse a esercitare, data l’importanza globale dell’Italia, membro del G7, e del valore che il G7 stesso ha dato alla risposta contro certe pratiche aggressive del Partito/Stato.
Un Paese che ha presentato una lista di punti per promuovere la pace in Ucraina non può sostenere la Russia, che ha violato le norme internazionali invadendo uno Stato sovrano, ha detto il ministro degli Esteri italiano durante la conferenza stampa congiunta a Washington con il segretario di Stato. Commentando le notizie in merito ad un presunto sostegno militare cinese alla Russia, il capo della diplomazia italiana ha detto che Pechino “non dovrebbe rafforzare la Russia, ma piuttosto cercare di promuovere la pace: mi auguro che si vada in questa direzione”. Gli Stati Uniti, ad oggi, “non sono in possesso di informazioni” che dimostrino un sostegno militare diretto della Cina nei confronti della Russia, nel quadro della guerra in Ucraina, ha aggiunto Blinken, specificando che “una fonte di preoccupazione riguarda pero’ le societa’ private che sono oggi impegnate nella fornitura di tecnologia alla Russia: e’ un tema che abbiamo sollevato in passato con le nostre controparti cinesi, e continueremo a farlo”.
Con il dossier cinese, che è quello di valore più strategico per le relazioni, sul tavolo ci sono anche questioni di più diretto interesse per l’Italia davanti alle quali la tempistica del viaggio è perfetta. Su tutte, la questione Nordafrica. Il governo italiano intende affrontare insieme la questione migratoria, obiettivo di carattere politico e securitario, con quella più ampia della stabilizzazione di alcuni dossier sensibili in Africa. L’idea – collegata al tanto citato Piano Mattei – è di creare strumenti risolutivi specifici e sistemare piaghe aperte da anni. Dalla Tunisia alla Libia, al Sahel (le destabilizzazioni in Mali, Ciad, Burkina Faso, Sudan), c’è una sfilza di problematiche nel Mediterraneo allargato su cui Roma sta aumentando il coinvolgimento (basta rileggere l’agenda di Meloni nell’ultima settimana), fluidificando l’azione europea e chiedendo un rinnovato interessamento degli Stati Uniti.
Il rischio (oggettivo) è che certi dossier vengano usati da attori rivali dell’Occidente, Russia e Cina su tutti (ma anche Iran: per esempio, nei giorni scorsi il ministro della Difesa iraniano era in visita in Mali, tanto per spiegare la continuità delle problematiche). Spingere su certi scenari multipli di destabilizzazione è parte di attività ibride complesse. Se il conflitto russo in Ucraina – su cui l’Italia conserva una linea coordinata con Washington e la Nato di sostegno a Kyiv, “finché Kyiv vorrà” – è di fatto la più grande operazione militare convenzionale in Europa dopo la Secondaf guerra mondiale, le crisi innescate all’interno del quadrante del Mediterraneo allargato (Balcani compresi) raccontano di quanto profonda possa essere l’instabilità di riflesso, indotta, da chi intende alterare l’equilibrio occidentale.
“Vogliamo buone soluzioni per la Tunisia, vogliamo un accordo, ma dobbiamo essere pragmatici”, ha detto Tajani al termine dell’incontro. “Dobbiamo lavorare passo a passo per la stabilità della Tunisia, per le riforme, la stabilità, perché è cruciale, come la Libia, per la stabilità della regione del Mediterraneo. È fondamentale anche per contrastare l’immigrazione illegale”, ha aggiunto Tajani. “Condividiamo le preoccupazioni dell’Italia sulla Tunisia e apprezziamo molto il lavoro che è stato fatto anche dalla delegazione guidata dalla premier Meloni”, ha aggiunto Blinken. E ancora, sull’Africa: “Possiamo collaborare per fare sì che questo mercato non sia dominato da altri Paesi”.
“L’incontro tra Tajani con il suo omologo americano Blinken assume un peso ancor più importante proprio nel giorno della scomparsa di Silvio Berlusconi. Sta lì a ricordare, infatti, che la relazione speciale tra i due Paesi non dipende solo dagli inquilini di Palazzo Chigi e della Casa Bianca, ma ha una natura strutturale. Gli Stati Uniti, infatti, rappresentano il primo partner per interscambio commerciale extra-Ue per l’Italia e il secondo globale (dopo la Germania), il terzo mercato di destinazione dell’export italiano e il primo mercato dove si rivolgono i nostri investimenti diretti all’estero”, spiega Gabriele Natalizia, professore di Relazioni internazionali della Sapienza e coordinatore di geopolitica.info.
”Non solo, l’Italia ha dimostrato negli ultimi anni come europeismo e atlantismo possano continuare a costituire, come in passato, le due facce di una stessa medaglia e che l’autonomia europea vada intesa non in senso negativo, ossia ‘autonomia da qualcuno’, ma propositivo ‘autonomia per’ fare, essere in grado di fare di più e meglio, in piena sinergia con i partner, in primis con gli Stati Uniti e la Nato”, continua a Formiche.net. “Il messaggio, infine, che arriva da quella che si è, per cause di forza maggiore, trasformata in una visita-lampo di Tajani è che Italia e Stati Uniti hanno un legame valoriale forte, che spazia dalla difesa della libertà a quella della democrazia divenuto ancor più tangibile che in passato dopo i tragici fatti che hanno preso forma a partire dal 24 febbraio 2022”.