L’app cinese di condivisione video è stata al centro di un confronto serrato e partecipato tra esperti, membri delle authority e parlamentari: come tutelare i dati degli utenti? Come garantire che attori stranieri non interferiscano nei processi democratici occidentali? Ecco tutti gli interventi e le risposte di TikTok
Sotto la cupola della Lanterna, nel centro di Roma, si è tenuto l’evento “TikTok, quo Vadis?” cui hanno preso parte esponenti delle autorità di controllo, del Parlamento e delle imprese per rispondere non solo alle questioni relative all’app cinese ma, più in generale, anche di dove sta andando il mondo tecnologico e quali ripercussioni può avere sulla società. Le domande sono state molte: fino a dove gli strumenti tech sono una risorsa e a che punto diventano un rischio? Cosa succede quando possono essere influenzati da un attore che non è una democrazia liberale e dunque non rispetta le stesse regole di ingaggio? Vanno regolati in modo stringente o è giusto lasciare alle aziende uno spazio di autoregolamentazione?
Alla prima domanda ha risposto Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura alla Camera, ponendo l’accento sull’utilizzo che se ne fa di questi mezzi. Ogni strumento è, allo stesso tempo, croce e delizia, nel panel moderato dalla direttrice delle riviste Formiche e Airpress, Flavia Giacobbe.
Laura Harth, Campaign Director di Safeguard Defenders, ha sottolineato come il problema di TikTok, nonostante le buone intenzioni che possano avere i suoi manager sparsi per il mondo, è che il regime di Pechino ha sempre il potere di decidere il destino delle società registrate in Cina (come è ByteDance, che controlla la piattaforma di condivisione video). La coercizione del Partito comunista cinese è stata esercitata con aziende anche più grandi e più potenti, è prevista dalla legge, ed è un fattore che deve essere sempre tenuto in considerazione quando si ha a che fare con TikTok.
Sulla necessità di trovare regole internazionali per le piattaforme tecnologiche, Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss Guido Carli, ha fatto un parallelo con la risposta del G20 alla crisi finanziaria. In questo caso, però, è praticamente impossibile raggiungere un approccio comune, ed è più realistico (e doveroso) trovare accordi tra paesi like-minded, democrazie liberali che tutelano i diritti della persona, nella gestione transfrontaliera dei dati. Tema affrontato anche da Guido Scorza – componente del Garante per la protezione dei dati personali – secondo cui i tentativi di chiudere i dati in “recinti” nazionali o comunitari, come stanno proponendo società sia americane che cinesi, non vuol dire garantirne un uso corretto. Serena Sileon dell’Istituto Bruno Leoni ha messo in guardia dal tentativo di regolamentare un mercato dinamico e in costante evoluzione.
Nel panel seguente, moderato dal direttore di Formiche.net Giorgio Rutelli, si è parlato di algoritmi e trasparenza. Paolo Atzeni, docente universitario che per l’Agenzia di Cybersicurezza Nazionale si occupa di formazione e competenze, ha spiegato come gli algoritmi che controllano i nostri gusti, le nostre scelte commerciali e politiche, di fatto le nostre vite, siano ancora un mistero per molti utenti, e l’obiettivo dell’Acn è di creare una sempre maggiore consapevolezza nell’uso degli strumenti tecnologici.
Che sono in evoluzione costante: basti pensare che la legge sulla par condicio è stata scritta nel 2000, quando non esistevano né social network né piattaforme di condivisione di dati, e l’Agcom doveva occuparsi solo degli spazi politici nelle emittenti locali e nazionali. Oggi la stessa Authority, rappresentata ieri da Francesco Di Giorgi, deve gestire un panorama comunicativo completamente trasformato, da ultimo dall’Intelligenza artificiale, e tiene il passo dell’innovazione creando tavoli di co-regolazione insieme alle principali aziende del settore. Come maneggiare la propaganda politica che attori stranieri potrebbero veicolare su queste piattaforme? Questo è forse uno dei temi più delicati quando si parla di Tiktok.
Per Matteo Flora, docente e imprenditore, è molto difficile distinguere il marketing commerciale da quello politico. E le stesse piattaforme vengono manipolate da chi non intende affatto rivelare gli scopi ultimi della propria strategia comunicativa. L’unica strada è far capire agli utenti come gestire i propri dati, nel caso “azzerare” gli algoritmi che registrano le loro preferenze, e poi aspettare gli effetti del Digital Services Act: questo nuovo regolamento europeo sarà una “mazzata” per le piattaforme che hanno una gestione “allegra” dei dati dei loro utenti. Eleonora Faina, direttore generale di Anitec-Assinform, ha raccontato come la sua associazione riesca a tenere insieme, con un confronto sempre molto civile e proficuo, piattaforme e realtà tecnologiche di Paesi e sistemi politici diversissimi. Spesso, ha raccontato, il conflitto è tra “vecchi e nuovi” strumenti (questi ultimi da lei rappresentati) e non tra concorrenti all’interno dello stesso ecosistema.
Finito questo scambio, è stato il momento del “confronto” tra Giorgio Rutelli il responsabile delle Relazioni istituzionali di TikTok, Giacomo Lev Mannheimer. Formiche.net, come i nostri lettori sanno, non è mai stata tenera con TikTok: non solo perché i dati degli europei e degli americani possono finire in Cina (e se con gli Usa c’è un confronto costante sulla gestione di questi database, con Pechino la questione non esiste neanche), ma perché il rischio geopolitico è che qualcuno all’interno del Partito comunista cinese può (per quelle leggi ricordate da Laura Harth) intervenire su qualunque società cinese e, in teoria, manipolarne il funzionamento. Magari favorendo la viralità di creator, alla vigilia di importanti elezioni in Italia o negli Stati Uniti, che sostengono, ad esempio, che il modello occidentale è in declino, che le nostre democrazie sono inefficaci, che i nostri leader sono deboli, e che il modello autocratico è migliore dei nostri. Perché i video con Biden che si impappina mentre parla girano (con decine di milioni di visualizzazioni) su tutte le piattaforme occidentali (e soprattutto su TikTok…) mentre in Cina non si potrebbe mai e poi mai vedere un video che critica apertamente Xi Jinping.
Per Mannheimer, l’azienda per cui lavora non riceve pressioni dal governo centrale. È posseduta al 60% da investitori istituzionali occidentali, tra cui Carlyle, Sequoia e General Atlantic, e il suo fondatore mantiene solo una quota del 20%. Il board di Bytedance è composto per i 3/5 da manager americani. Oltre alle questioni societarie, Mannheimer ha spiegato come funziona l’algoritmo di TikTok, che assegna un numero composto da decine di cifre ai video e associa ciascun utente con altri numeri unici che corrispondono alle sue preferenze. Secondo lui, dall’esterno non si può modificare questo sistema, perché ogni numero ha un significato solo in connessione con milioni di altri numeri. E in ogni caso da qualche tempo la piattaforma permette di “resettare” l’algoritmo per ripartire da zero con preferenze e video virali. Essendo poi una realtà nuova non vede l’ora di sottoporsi a regole comuni (come il Dsa) che permettono di livellare il campo da gioco con gli altri operatori. Sulla propaganda, ha precisato che su TikTok non si possono pubblicare contenuti politici a pagamento, e che ogni mese l’azienda diffonde le informazioni sui tentativi di manipolare la viralità dei contenuti esercitati da bot e attori malevoli.
Il fatto del divieto delle inserzioni a sfondo politico è stato accolto con una certa amarezza da Deborah Bergamini (Forza Italia): “Faccio politica con passione da 30 anni e mi dispiace che sia considerata così sporca e cattiva da non avere uno spazio per esprimersi sulle nuove piattaforme. La politica è alla base della nostra esperienza collettiva, sostituire il pensiero e la filosofia con delle macchine non potrà far altro che impoverirci. Credo ancora nella centralità della persona e non in quella degli algoritmi”. Il dibattito politico, che ha visto gli interventi di Andrea Dara (Lega) e Antonino Iaria (M5S), è stato animato da Roberto Arditti, direttore editoriale di Formiche, alla ricerca di un modo di affrontare, a livello più europeo che nazionale, i cambiamenti improvvisi e rapidissimi delle nuove tecnologie.