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Zuppi, l’esploratore di Francesco a Kyiv. Cosa può fare

L’iniziativa papale di cui tutti dissero di non sapere alcunché c’è e non è stata respinta da nessuno. Questo è un fatto, il primo, che merita di essere registrato, perché giorni fa anche questo sembrava un obiettivo non raggiungibile. Il punto di Riccardo Cristiano

Il cardinale Matteo Zuppi è a Kyiv, prima tappa del suo viaggio su mandato di papa Francesco alla ricerca di spiragli di pace nel muro che appare sempre più impenetrabile, quello che impedisce di parlare di pace in Ucraina. Parlando dell’iniziativa che il papa ha assunto affidando l’incarico al cardinal Zuppi, il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin aveva detto che “gli interlocutori saranno Mosca e Kyiv per il momento, poi vedremo”, aggiungendo “non vogliamo escludere nessuno”.

Tra offensive e controffensive, cosa può fare don Matteo, il cardinal Zuppi? Innanzitutto chiarisce che lui è l’inviato di Francesco e intende “ascoltare in modo approfondito le autorità ucraine, circa le possibili vie per raggiungere una giusta pace”. Dunque il percorso parte dall’ascolto, attento, per arrivare a una pace “giusta”. In mezzo appare evidente che ci debba essere molto altro, oltre a una ovvia visita a Mosca che al momento risulta in preparazione; il quadro è quello che sappiamo, inutile farsi illusioni o fingere di non saperlo. E questo “altro” si riferirà certamente ai “gesti di umanità”, quelli che papa Francesco ha già favorito per il rilascio di prigionieri e che oggi sembrano riguardare il destino dei bambini ucraini deportati in Russia.

Su questo il cardinal Zuppi opererà in raccordo con il Segretario di Stato vaticano. Non sarà la sua una missione paragonabile a quella che nel 2003 vide il cardinale Etchegaray volare a Baghdad e il cardinale Pio Laghi andare a Washington per scongiurare la guerra di allora. Oggi l’inviato del papa seguirà i due terminali del conflitto, cercando poi – è lecito presumerlo – sponde nella diplomazia globale, senza dunque escludere raccordi, intese, di utilizzare cioè la “moral suasion”, un’attitudine propria del “soft power” vaticano.

Dunque la missione di Zuppi appare quella di un esploratore, più che di un mediatore. In questo farà affidamento sulle nunziature, che rimangono sempre aperte, sulla sua esperienza personale, quando si occupò della pace in Mozambico, e delle competenze della Comunità di Sant’Egidio, la sua casa di origine e di formazione.

La disponibilità di Francesco a sostenerlo nel campo delle iniziative umanitarie, soprattutto sul fronte dei bambini, lo rafforza per il peso che questi possibili traguardi, rilevanti, potrebbero avere a incrinare l’incomunicabilità. “La consapevolezza ultima che lo muove – ha scritto sui social il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro – è quella di papa Francesco: in un mondo spaccato, il compito della Chiesa è di accompagnare il cammino dei popoli. Senza pretendere di guarire di colpo il male, ma certamente versando olio sulle ferite che tocca”. Sono parole chiare e significative, perché indicano un percorso non facile ma neanche prestabilito, piuttosto pronto a cercare nella realtà di creare le condizioni per scenari nuovi.

Lo sforzo può apparire quasi impossibile, ma se non si esplora una via nessuno può dire che sia non percorribile. Dunque è la qualità delle interlocuzioni il primo elemento, poi verrà il tempo delle iniziative umanitarie, importantissime se riuscissero a produrre esiti positivi, e ancora gli incroci con attori e diplomazie internazionali, con ogni probabilità, per tornare a vedere se nel frattempo le nebbie lungo il cammino si fossero diradate, si fosse aperto qualche “spiraglio”.

Di certo l’iniziativa papale di cui tutti dissero di non sapere alcunché c’è e non è stata respinta da nessuno. Questo è un fatto, il primo, che merita di essere registrato, perché giorni fa anche questo sembrava un obiettivo non raggiungibile.


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