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Più Europa, meno Cina. All’Atlantic Council si discute di Italia e Mediterraneo

vertice libia mediterraneo

La conversazione promossa dall’Atlantic Council ha analizzato l’evoluzione del contesto mediterraneo negli ultimi anni, assieme alle sfide e alle opportunità che questa evoluzione comporta per il nostro Paese. Che ha già in mente un possibile piano d’azione

Quali saranno le mosse di Roma in un contesto mediterraneo sempre più frammentato e dominato da un multipolarismo di stampo concorrenziale? A questo quesito hanno provato a rispondere Dario Cristiani, resident senior fellow del German Marshall Fund, e Roberto Menotti, caporedattore di Aspenia online, assieme ad Alessia Melcangi e Rachel Rizzo, nonresidente senior fellows dell’Atlantic Council nel corso dell’evento“Charting Italy’s diplomatic course: Unveiling the Mattei Plan, China talks, and Tunisia negotiations”, organizzato dall’Atlantic Council e moderato da Karim Mezran. Le tematiche affrontate sono state molteplici, ma tutte accomunate dalla loro rilevanza per il bacino marittimo su cui si affaccia l’Italia. Con l’obiettivo di fornire una visione trasversale di quanto sta accadendo nel Mediterraneo.

Mediterraneo che è stato testimone di una forte crescita delle dinamiche locali.  Soprattutto in seguito al cambio di rotta della politica estera statunitense negli scorsi decenni, che a portato a una ridefinizione delle priorità di Washington nel settore più che a un vero e proprio retrenchment. La regione del mediterraneo allargato continua infatti a rimanere un pilastro della politica estera statunitense, così come lo è stato negli scorsi decenni; ma gli Stati Uniti non possono più destinare al Mediterraneo le stesse risorse economiche e politiche, a causa di emergenti necessità di sicurezza in altre regioni del globo. La questione libica ne è la rappresentazione plastica: quello del 2011 è stato un intervento europeo sostenuto dagli Stati Uniti e non un’azione statunitense. Non a caso l’ex presidente Barack Obama ha subito chiarito che l’America non si sarebbe fatta carico del processo di transizione nella Libia post-Gheddafi. Questa minore presenza americana ha certamente favorito una maggiore libertà d’azione da parte di altri attori come Russia, Turchia o Emirati Arabi. Ma la penetrazione di questi ultimi si è sempre strutturata su dinamiche locali pre-esistenti. L’interesse di queste potenze a inserirsi nella regione mediterranea è stato infatti sfruttato dagli attori locali per promuovere le loro agende. Portando così a un altissimo grado di frammentazione, sia a livello sistemico che interno ai singoli stati dell’area.

Questo è il contesto in cui si struttura l’azione italiana. Proponendo soluzioni adatte al contesto odierno, ma ispirandosi ad esempi virtuosi del passato come il processo di Barcellona e l’Euromediterranean Partnership, che sono state formule capaci di portare più Europa nel Mediterraneo, “amplificando la politica estera dei singoli stati membri” come sottolinea Cristiani. Negli ultimi anni questo teatro è stato visto come marginale dall’Europa, il che ha facilitato l’introduzione di potenze rivali. Ma il Piano Mattei potrebbe essere la chiave giusta per rafforzare la presenza europea nel Mediterraneo Allargato, abbracciando una pluralità di settori diversi ma profondamente interconnessi tra loro come energia, immigrazione, sicurezza.

Per far sì che ciò accada è importante che quest’iniziativa venga declinata correttamente. L’accordo con la Tunisia, promosso dal governo Meloni, è molto importante a questo proposito, perché potrebbe funzionare come base da rielaborare per arrivare ad una versione “definitiva” ancora più efficiente e ambiziosa. Con l’obiettivo di promuovere una stabilità di lungo termine nella regione, stabilità che si incentri sul benessere economico-sociale e non sull’“autocratizzazione” dei governi locali. “La stabilità non dev’essere un obiettivo di per sé, ma un mezzo per raggiungere altri obiettivi”, chiosa Menotti. Obiettivi ambiziosi che l’Italia non può perseguire da sola, perché “il Piano Mattei su un livello esclusivamente nazionale non può funzionare, sono necessarie le risorse politiche ed economiche dell’Europa”, ricorda Melcangi.

Ma l’importanza del Mediterraneo come hub commerciale, così come fianco Sud della Nato, ha attirato l’interesse di altri attori, e in particolare della Cina, che si è premurata di includere la regione all’interno della sua Belt and Road Initiative. Iniziativa a cui anche l’Italia ha aderito, ma da cui adesso cerca di fuggire, sia per le sue ricadute economiche che per una questione di posizionamento diplomatico. Un percorso che il governo sta portando avanti anche grazie al Golden Power. Tuttavia, vi è un diffuso e giustificato timore che la Cina possa mettere in atto una rappresagli nei confronti dell’Italia, come ha già fatto con altri paesi che hanno deciso di sganciarsi dal progetto di Pechino. Per prevenire questo outcome è necessaria un’azione comune europea, capace di esercitare la deterrenza necessaria a scoraggiare la Cina dal compiere gesti avventati.

E anche di neutralizzare la presenza di Pechino nel Mediterraneo. Un tema molto caldo negli Stati Uniti. “In un America fortemente polarizzata, l’approccio competitivo nei confronti della Repubblica Popolare Cinese è uno dei pochi argomenti che trova un consenso bipartisan”, afferma Rizzo. Proprio per questo la questione cinese e in generale la delicata questione del teatro mediterraneo saranno affrontate dalla premier italiana durante la sua oramai prossima trasferta statunitense, durante la quale parteciperà ad un bilaterale con il presidente Joe Biden dove si farà latrice della posizione di Roma e, in parte, di Bruxelles nella regione.



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