Quando alla fine di ottobre dello scorso anno Giorgia Meloni mise piede a Palazzo Chigi, i mercati trattennero il fiato. Come e dove avrebbe messo le mani il governo a trazione Fratelli d’Italia? E che assetto avrebbe assunto con l’Europa? Da battaglia o col ramoscello di ulivo tra i denti? A otto mesi dall’avvento della prima donna premier nella storia italiana, è tempo di fare due conti. E ammettere che alla fine i mercati hanno vissuto e forse stanno ancora vivendo, una luna di miele con Palazzo Chigi. Ma forse il merito è anche degli Stati Uniti.
I motivi per cominciare a perdere la fiducia di chi presta 400 miliardi di euro a uno dei Paesi più indebitati d’Europa (il contatore ormai gira sui 2.800 miliardi, ma ci sono di mezzo le misure pandemiche e anti-inflazione che hanno pompato il disavanzo) potevano essere tanti. Il fisco (qui l’intervista sulla delega fiscale in gestazione in Parlamento all’economista Nicola Rossi), la gestione della spesa pubblica, le tentazioni assistenzialiste, la scarsa capacità di attrarre capitali, la difficoltà con il Pnrr, la guerra, la crisi energetica, l’instabilità geopolitica e tante altre piccole o grandi bucce di banana. Per non parlare della fiammata dei tassi, da quando la Bce ha deciso di dare gas al costo del denaro, portandolo al 4% (proprio a fine luglio l’Eurotower ha dato una nuova stretta).
Niente di tutto questo, o quasi, fino ad oggi si è visto. Nel mentre, i numeri raccontano la loro verità. E cioè che a luglio Piazza Affari, o meglio il suo indice maggiore, il Ftse Mib, ha raggiunto i 28.230 punti, arrivando a guadagnare il 19% in più in sei mesi e a toccare i livelli che non vedeva dal settembre 2008, ai tempi della crisi Lehman Brothers. Ora, a trainare il listino di Milano sono stati soprattutto i numerosi titoli del comparto bancario quotati presso l’indice Ftse Mib, che per effetto dei nuovi tassi di interesse hanno registrato risultati record.
Ma è altrettanto vero che proprio l’aumento del costo del denaro, nel tentativo di contrastare l’inflazione, ha spinto l’Europa più volte sull’orlo della recessione (in Germania è arrivata). E si sa quanto mercati e investitori soffrano il rialzo dei tassi. Il 12 settembre 2008, ultima seduta prima del fallimento della banca americana, l’indice di riferimento di Piazza Affari aveva chiuso infatti a 28.372 punti. Più o meno lo stesso discorso vale per lo spread, l’altro grande termometro della fiducia verso l’Italia. Dopo alcune punte, lo scorso gennaio, oltre i 180 punti base, a partire da marzo il differenziale di rendimento tra i Btp decennali e il Bund tedesco si è tenuto costantemente tra i 160 e i 170 punti base, con rendimenti inchiodati al 4% per i titoli italiani.
Per capire se si tratti solo di coincidenze astrali o di vera serenità del mercato dinnanzi all’operato del governo italiano, Formiche.net ha chiesto un parere a Wolfram Mrowetz, ceo di AliseiSim e grande esperto di mercati. “Allora, facciamo chiarezza. Per quanto riguarda la Borsa, i numeri in crescita ai quali abbiamo assistito sono anche merito degli Stati Uniti, perché la Casa Bianca ha sostenuto gli investimenti americani sulla piazza italiana. Un modo per assicurarsi anche, da parte del presidente Joe Biden, il sostegno sia alla causa ucraina sia al contrasto alla Via della Seta. Gli Usa, insomma, stanno aiutando i nostri mercati, nell’ottica di riuscire a smontare la Belt&Road”.
Diverso il discorso dello spread. “Qui il governo c’entra decisamente di più. Giorgia Meloni e il suo governo si sono dimostrati finora coerenti e tutto sommato assennati nelle decisioni più importanti. In più il premier è percepito all’estero come una persona carismatica, determinata e questo ai mercati piace da sempre, anche perché prima di lei non è che ci fosse tutta questa determinazione. Tuttavia, dei dubbi sull’Italia permangono, anche se non sufficienti a innescare una crisi di fiducia. Basti pensare alle raccomandazioni del Fmi, pochi giorni fa e ai rendimenti dei titoli greci, minori rispetto a quelli italiani. Due fattori da non trascurare”.