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Chip, entrano in vigore le restrizioni giapponesi. Cina tagliata fuori?

Microchip

A partire da domenica 23 luglio le aziende giapponesi, specializzate nella fornitura di apparecchiature avanzate per la produzione di chip, non potranno più vendere sul mercato cinese. Pechino protesta, a rischio l’industria dei semiconduttori globale. Ma le conseguenze…

Come parte del disegno, a guida statunitense, di contenere le ambizioni tecnologiche di Pechino nel campo dei semiconduttori per i settori dual-use (specialmente quelli militari), il Giappone ha annunciato che le misure di controllo sulle esportazioni di macchinari avanzati sono da ieri in vigore. Lo riporta l’agenzia di stampa Kyodo News.

Tokyo avrebbe incluso nella lista 23 input utilizzati nella fabbricazione di chip che necessiteranno di autorizzazione governativa per l’esportazione, secondo quanto previsto dalla legislazioen vigente, il Foreign Exchange and Foreign Trade Act. Pechino ha reagito duramente contro l’iniziativa, nonostante l’annuncio giapponese non abbia ufficialmente menzionato la Cina, principale mercato mondiale per i chipmakers globali, come l’obiettivo delle limitazioni.

Nell’ottobre 2022, gli Stati Uniti hanno imposto una serie di misure e di controlli sull’export di tecnologie per la manifattura di chip avanzati che Pechino potrebbe utilizzare per sistemi avanzati di intelligenza artificiale e per modernizzare il suo apparato militare. Considerando il ruolo preponderante di aziende europee (Asml e BASF) e giapponesi (Shin Etsu e JSR Corporation) nella fornitura di macchinari e materiali cruciali, gli USA sono riusciti a cooptare i rispettivi governi per allinearsi al contenimento tecnologico della Cina su base multilaterale. La risposta del governo cinese non si è fatta attendere, con l’annuncio di licenze e restrizioni a partire da settembre sull’export di gallio e germanio, due materiali compositi utilizzati nella fabbricazione di chip (soprattutto microcontrollori e circuiti per l’industria automotive).

“La produzione di semiconduttori all’avanguardia sarà quasi senza speranza per la Cina, almeno nel breve e medio termine”, ha dichiarato Yoshiaki Takayama, ricercatore presso il Japan Institute of International Affairs raggiunto da Nikkei Asia.

A seguito delle nuove regole, il Giappone ora ha incluso nella lista di materiali soggetti a licenze equipaggiamnto per le fasi di cleaning, incisione litografica (Euv) ed esposizione, step fondamentali per la fabbricazione di chip all’avanguardia. La litografia ultravioletta, processo complesso che consente di incidere i circuiti integrati sui wafer di silicio, è alla base del dominio di ASML e di altre aziende giapponesi americane che forniscono input cruciali.

Dopo la creazione di wafer di silicio ad un grado di purezza elevatissima (circa 99.99999999%, una purezza e struttura molecolare che pochi produttori di wafer, come Shin Etsu, sono in grado di garantire alle fonderie dove i chip vengono fabbricati), strati di materiali isolanti e conduttori vengono applicati sul wafer e coperti con un fotoresistore. Questo materiale è sensibile a fasci di luce e resistenze a sostanze chimiche applicate in seguito. Il fotoresistente viene fatto indurire, con porzioni esposte ad una luce ad ultravioletti (tramite l’impiego, a seconda della scala nanometrica del chip, di macchinari Duv/Euv) che lo rende solubile. L’esposizione viene effettuata usando delle maschere (photomask) che agiscono come stampi, in maniera da rendere evidenti solamente delle specifiche porzioni del materiale fotoresistente. La maschera contiene la struttura del microchip che deve essere trasferito sul wafer. Essa viene otticamente ridotta da una lente, e la fase di esposizione viene ripetuta più volte sul wafer per formare la stessa immagine, una per ciascun chip ospitato dal wafer.

Ad oggi circa il 90% delle quote di mercato dei fotoresistori è detenuto da tre aziende giapponesi: Shin Etsu, JSR Corporation e Tok. Asml, come detto, è l’unica azienda capace di riprodurre il processo Euv in scala – la Twinscan  NXE:3600D, ovvero il macchinario da centinaia di milioni di dollari che richiede migliaia di subfornitori, tra cui la tedesca Zeiss per l’utilizzo di speciali lenti e specchi riflettori per l’incisione delle radiazioni Euv.

Un processo industriale difficile da replicare nel breve-medio termine, soprattutto in assenza di input chiave e manodopera altamente qualificata. “Siamo profondamente delusi e non accettiamo quest’atto” ha commentato un portavoce del ministro degli Esteri cinese, Mao Ning, che ha richiesto a Tokyo di “prevenire che misure rilevanti possano interferire con la normale cooperazioen tra i due paesi nell’industria dei semiconduttori”.

Il Giappone è infatti il principale fornitore di apparecchiature per la produzione di semiconduttori, rappresentando circa un terzo delle importazioni cinesi in valore in questo segmento nel 2022, secondo l’International Trade Centre. Si tratta di un mercato per le aziende cinesi da 5.7 miliardi di dollari di vendite nel 2022, circa un 30% di tutte le esportazioni di macchinari e materiali per la fabbricazione di chip. Non solo: circa il 75% della domanda di equipaggiamento e materiali per la produzione di chip proviene dalla Cina, considerando la capacità wafer-per-month installata nel paese (soprattutto quella non leading edge, ovvero sopra i 14 nanometri).

Come riporta il Global Times, quotidiano vicino al Partito Comunista, la mossa potrebbe compromettere il business di altre aziende giapponesi come Nikon Corporation, Tokyo Electron e Screen Holdings. “Le misure di controllo alle esportazioni adottate dal governo giapponese” ha commentato Da Zhigang, direttore dell’Institute of Northeast Asian Studies, “porterà incertezza e danneggerà l’industria globale dei semiconduttori”. Una preoccupazione che di recente ha portato la Semiconductor Industry Association (SIA), lobby americana dei chip, a chiedere a Washington di evitare una ulteriore escalation nella sua guerra tecnologica.

Secondo i dati della Sia, la Cina è stata il più grande mercato per l’industria dei semiconduttori nel 2022, con oltre 180 miliardi di dollari di vendite, circa un terzo del totale a livello mondiale.

Il governo giapponese, tramite il ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria, ha già facilitato il processo per ottenere le licenze all’esportazione per 42 paesi e regioni, inclusi gli Stati Uniti. Sono circa dieci le aziende giapponesi che potrebbero, nel complesso, venire impattate dalle restrizioni varate dal governo. Il ministro, Yasutoshi Nishimura, ha tuttavia chiarito che l’impatto sarà ridotto dal momento che le tecnologie e i macchiari coinvolti sono soltanto quelli “più avanzati”. Il Giappone inoltre non applicherù lo standard statunitense di “presunzione di diniego” e consentirà le esportazioni quando possibile, ha affermato un funzionario del governo giapponese. Una geometria variabile delle sanzioni e delle restrizioni che rimane un punto debole del coordinamento tra gli alleati.

È probabile che in seguito a questa misura le ritorsioni della Cina sulle materie prime critiche, come gallio e germanio, verranno implementate con rapidità a settembre nell’ottica di colpire in particolare gli ecosistemi industriali di Usa, Giappone e Olanda. Non è inoltre da escludere che Pechino possa rispondere a Tokyo nei settori in cui l’industra giapponese è più esposta, come su terre rare ed elettronica per i tradizionali e e i veicoli elettrici.

 


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