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Yellen sì, Borrell no. Cosa spiegano le visite occidentali in Cina

Nei giorni in cui inizia la missione della segretaria al Tesoro americana, Pechino fa sapere che non ci sono più spazi in agenda per la visita organizzata dell’Alto rappresentante Ue. Da sempre il Partito/Stato predilige i rapporti bilaterali con gli europei, e vuole sganciare Washington da Bruxelles come linea strategica

La Cina ha senza preavviso cancellato la visita in Cina del capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, comunicando mercoledì 5 luglio che gli spazi in agenda per gli incontri che avrebbe dovuto avere il diplomatico vicepresidente della Commissione Ue non erano più disponibili. Pechino non ha fornito alcuna motivazione.

È del tutto possibile che, senza appesantire eccessivamente con la dietrologia, ci siano ragioni di indisponibilità effettiva, sconosciute quanto accettabili e non conflittuali. Oppure potrebbero esserci motivazioni differenti. Secondo un analista occidentale che commenta la vicenda con Formiche.net in forma confidenziale, la concomitanza della missione della segretaria al Tesoro, Janet Yellen, e quella di Borrell poteva sembrare un’esposizione eccessiva. Per tale ragione, Pechino avrebbe scelto di far saltare il vertice con l’europeo, approfittando anche di marcare il segno in termini di importanza relativa dei due alti funzionari.

La Cina predilige forme di dialogo diretto, di carattere bilaterale, e lo ha sempre dimostrato nel confronto con l’Europa. Le discussioni cinesi sono più orientate alle relazioni con i singoli Paesi che con l’Unione — al limite con sistemi minilaterali come l’ex “17+1” con le Nazioni dell’Est Europa. Parlare con Borrell significa parlare con il blocco, parlarci mentre a Pechino c’è Yellen può rischiare di dare eccessiva considerazione all’allineamento occidentale — che sta pensando a prendere misure associate nell’ambito della securitizzazione della sfera economico-commerciale.

Il Partito Comunista Cinese intende controllare le relazioni estere nei confronti dell’Ue, soprattutto dopo l’accoglienza tiepida riservata alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in Cina quando, ad aprile, ha accompagnato il francese Emmanuel Macron in visita in Cina. Il capo di Stato francese ha ricevuto protocollo e attenzioni di ordine notevolmente superiore a quelle date alla presidente europea. La strategia della Cina nei confronti dell’Ue viene spesso inquadrata come un intento di dividere gli Stati Uniti e l’Ue, ma la natura del trattamento di von der Leyen come della cancellazione della visita di Borrell, che arriva poco dopo una visita di Stato cinese in Germania, suggerisce che la Cina è anche felice di dividere l’Ue (cioè la Commissione europea, più falco) dai Paesi membri — in particolare Germania e Francia, considerati più aperti al dialogo con Pechino.

La scelta cinese di far saltare la visita di Borrell serve anche a mandare un altro genere di messaggio agli europei: potrebbe infatti essere interpretata come una mossa consequenziale all’eccessivo allineamento con Washington, dimostrando che la considerazione cinese ha uno sbilanciamento a sfavore degli europei. Questo potrebbe portare qualcuno in Europa a chiedere di marcare posizioni più indipendenti da quelle americane per non finire vittima delle contromosse cinesi. Questa eventuale demarcazione è di fatto un obiettivo strategico del Partito/Stato.

La Commissione è anche impegnata a delineare modalità e perimetro del concetto di “de-risking”, visione lanciata da von der Leyen e ormai acquisita anche dall’amministrazione Biden come forma di azione nei confronti della Cina. Ma la Cina è consapevole che sono i governi nazionali a decidere in ultima istanza cosa significherà “de-risking”, e sa che sono questi a mettersi in gioco in termini di dipendenze commerciali e di investimenti. Ossia saranno loro a compiere scelte che possono ripercuotersi a livello di consensi interni e di animosità conseguenti a eccessivi tagli nei rapporti con il business cinese (per quanto l’economia della Repubblica popolare è molto meno attraente e spinta di un tempo).

Pechino è consapevole anche che per tali ragioni gli Stati dell’Ue sono diffidenti nel concedere alla Commissione maggiori poteri, e sono più facili da “colpire” o “ricattare” diplomaticamente se sono isolati e se si lavora con essi a livello bilaterale. C’è una linea di pensiero che tuttavia ritiene questa strategia controproducente nel medio termine (soprattutto se le tensioni tra Cina e Stati Uniti dovessero continuare ad aumentare nel tempo). D’altronde, il massimo che la Cina può sperare di ottenere dalla maggior parte degli Stati dell’Ue (con alcune eccezioni, come l’Ungheria) è il procedere del business-as-usual. Basta pensare che persino in Germania, dove il cancelliere Olaf Scholz ha chiarito di considerare il “de-risking” come una decisione che spetta alle singole imprese piuttosto che ai governi, continua a consigliare alle imprese di perseguire un certo livello di diversificazione (che significa aumento dei parametri di screening per la sicurezza economica commerciale).

Poiché gli Stati dell’Ue sono più vulnerabili alle pressioni individuali, lo scenario peggiore per la Cina è che gli attori europei siano per questo spinti ad adottare una politica ancora più aggressiva nei confronti della Cina rispetto a quella che avrebbero potuto adottare come blocco unito. Si veda il caso dei controlli sulle esportazioni di Asml, l’azienda leader nelle macchine stampa chip dei Paesi Bassi. Questo perché tanto quanto la Cina, anche gli Stati Uniti sono in grado di muoversi a livello bilaterale ed esercitare certi tipi di pressioni. Per esempio si stanno muovendo con l’Italia riguardo a una decisione che per Pechino potrebbe essere simbolica: l’abbandono da parte di Roma dell’adesione alla Belt & Road Initiative, su cui il governo Meloni si troverà a decidere nei prossimi cinque mesi.



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