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Pechino tentenna, le città cinesi si attrezzano contro il debito. Da sole

Nonostante il governo centrale sia conscio della drammatica situazione finanziaria delle immense province cinesi, c’è chi pensa a salvarsi da solo. Arriva la prima “bad bank” di un’amministrazione locale, passo necessario per liberarsi dei crediti incagliati e provare a far ripartire i finanziamenti

Se la politica, quella a Pechino, latita, allora è meglio che ognuno pensi a salvarsi da solo, e in fretta. La Cina combatte da anni contro un mostro chiamato debito. Le grandi e sconfinate province del Dragone sono tutte pressoché insolventi verso le banche di territorio, a loro volta nei guai per aver prestato denaro a società immobiliari che non erano capaci di rimborsare i prestiti. Un circolo vizioso dal quale sembra sempre più difficile uscire.

Problema, se falliscono le istituzioni finanziarie e le banche locali, l’intera economia cinese rischia di essere trascinata sul fondo. E allora, ecco i progetti pilota per evitare il peggio, senza aspettare qualche salvagente da Pechino, dove comunque il governo è assolutamente conscio della situazione. L’esempio arriva dalla città di Qingdao nella provincia cinese dello Shandong. Un territorio sommerso dai debiti, come tanti altri, la cui amministrazione ha deciso di costituire una società in house, per salvare le banche locali, già a corto di liquidità per mancanza di rimborsi.

La missione della nuova entità è duplice e assomiglia molto a una bad bank. Da una parte, racconta Reuters, l’obiettivo è quello di accollarsi una ingente mole di debiti, in modo da ripulire per quanto possibile i bilanci dell’amministrazione e degli stessi istituti. E anche liberare in questo modo nuova finanza per sostenere gli investimenti messi in cantiere ma bloccati a causa dei passivi, soprattutto legati alle infrastrutture. Si tratta del primo meccanismo di questo tipo messo a terra da un governo locale per evitare che un debito periferico, oggi stimato in oltre 9 mila miliardi di dollari, faccia deragliare la seconda economia mondiale.

Tutto questo mentre l’economia del Dragone, fresca di uno-due incassato da Goldman Sachs, a giugno si è avvicinata a un passo dalla deflazione, con prezzi così bassi da deprimere l’economia. L’indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato su base annua ed è diminuito dello 0,2% rispetto al mese precedente, mentre i prezzi alla produzione sono scesi al ritmo più rapido dal 2016, poiché la domanda di beni di consumo e manufatti si è indebolita.

Il messaggio è chiaro, la crescita in Cina latita perché c’è poca domanda e i prezzi non salgono. E a nulla valgono i tentativi della Banca centrale di tenere i tassi bassi, al fine di consentire un maggior afflusso di denaro nell’economia. Gli analisti prevedevano che tale trend avrebbe portato la People’s Bank of China a ridurre nuovamente i tassi di interesse, in aggiunta a una serie di tagli del mese scorso che molti ritengono che Pechino dovrà integrare con politiche di stimolo fiscale.

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