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​La Cina è (quasi) in deflazione. E gli investitori puntano al resto dell’Asia

Nonostante i numerosi tentativi della Pboc di semplificare l’afflusso di denaro nell’economia, mantenendo i tassi bassi, la domanda nel Dragone continua a scendere, trascinando con sé i prezzi. Segno di un’economia che ha smesso di consumare​

Cina con vista sulla deflazione. L’economia del Dragone, fresca di uno-due incassato da Goldman Sachs, a giugno si è avvicinata a un passo dalla deflazione. Vale a dire che i prezzi sono così bassi da deprimere l’economia. L’indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato su base annua ed è diminuito dello 0,2% rispetto al mese precedente, mentre i prezzi alla produzione sono scesi al ritmo più rapido dal 2016, poiché la domanda di beni di consumo e manufatti si è indebolita.

Il messaggio è chiaro, la crescita in Cina latita perché c’è poca domanda e i prezzi non salgono. E a nulla valgono i tentativi, disperati, della Banca centrale di tenere i tassi bassi, al fine di consentire un maggior afflusso di denaro nell’economia. Gli analisti prevedevano che tale trend avrebbe portato la Banca centrale cinese, la People’s Bank of China, a ridurre nuovamente i tassi di interesse, in aggiunta a una serie di tagli del mese scorso che molti ritengono che Pechino dovrà integrare con politiche di stimolo fiscale.

“La Cina è ancora in crescita: la domanda è se raggiungerà il suo obiettivo”, ha affermato Heron Lim, economista di Moody’s Analytics. “In termini di quella ripresa, è ancora lì, ma la preoccupazione è che stia rallentando”. E pensare che il Dragone mira a una crescita del Prodotto interno lordo del 5% quest’anno mentre l’economia emerge dai controlli draconiani del Covid-19, ma la ripresa si sta rivelando fragile, con i prezzi degli immobili e le esportazioni in calo.

Tutto questo mentre gli investitori d’Occidente tornano a scommettere sulle azioni delle economie asiatiche. Tranne la Cina. Come ha raccontato Bloomberg, nei giorni scorsi banche e fondi non asiatici hanno acquistato 25,4 miliardi di dollari di titoli riconducibili a Paesi dell’Asia. L’India ha ricevuto la maggior parte degli afflussi, con 12,3 miliardi di dollari, mentre i mercati della Corea del Sud e di Taiwan, ricchi di semiconduttori, hanno attirato ciascuno oltre 7,9 miliardi di dollari. La Thailandia è stata un’eccezione, in quanto i gestori hanno ritirato 3,3 miliardi di dollari. E la Cina?

“L’India potrebbe essere il miglior mercato asiatico per i rendimenti assoluti a lungo termine, dato l’ampliamento e l’approfondimento dei mercati azionari e la coda lunga della crescita degli utili”, ha dichiarato Vikas Pershad, gestore di fondi azionari asiatici presso M&G Investments. Chiarendo un concetto: “L’ipotesi di una sovraperformance dell’India sembra più facile di quella di una sovraperformance della Cina”. Pechino ha perso appeal?

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