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Green deal, IA e imballaggi. Dossier europei e sguardo al 2024. Parla da Empoli

L’Unione europea corre verso la fine della legislatura e prova a chiudere una serie di dossier aperti. Oggi il voto sul Green Deal, ma restano in ballo le prospettive sul mercato farmaceutico, la direttiva imballaggi, l’automotive e l’Intelligenza artificiale. Sullo sfondo, la nuova geografia delle alleanze in vista delle elezioni. Conversazione con il presidente di I-Com

L’asse Von der Leyen-Timmermans ha retto. La legge sul ripristino della natura presentata dalla Commissione Europea – elemento chiave del Green Deal, fortemente politicizzato ultimamente – passa il vaglio della plenaria al Parlamento europeo. Il fronte ambientalista si è mostrato compatto, ma non c’è dubbio che il “Nature” (la misura pensata anche per salvaguardare l’ecosistema) abbia rappresentato un primo test per le alleanze in viste delle elezioni del prossimo anno. Al di là della transizione verde, sono tanti i dossier ancora aperti sui quali Parlamento e Commissione si dovranno concentrare, da qui alla fine della legislatura. Così come sono diverse le tematiche che sicuramente matureranno a cavallo del 2024 e saranno quindi gestite dalla futura maggioranza a Bruxelles. Con Stefano da Empoli, presidente di I-Com, abbiamo fatto un excursus sulle questioni più stringenti, in particolare per il nostro Paese.

Presidente da Empoli, partiamo con un’analisi del Green Deal e segnatamente sul provvedimento votato dal Parlamento Europeo. Che idea si è fatto in termini di impatto politico?

Quello del Green Deal e più in generale della transizione ecologica è un tema che ha assunto, specie negli ultimi mesi, una fortissima valenza politica. In qualche modo rappresenta un grimaldello, per una parte politica ben identificata, per tentare di cogliere alcune istanze e alcune resistenze che si sono manifestate da parte di cittadini e imprese. Evidentemente, soprattutto per il Ppe, questo tema sarà centrale in chiave politica.

I vertici del Ppe vogliono ritagliarsi un ruolo da protagonisti nei futuri assetti europei. E l’orientamento – lo si è visto proprio sul “Nature” – sembra ormai propendere verso uno spostamento a destra. Quali sono le prospettive in questo senso?

Manfred Weber ha dichiarato apertamente la sua contrarietà al provvedimento del Green Deal, malgrado l’appello di Timmermans. Non solo: il Ppe ha sostituito i membri “non allineati” a questa posizione dalla Commissione Europea. Senza contare il fatto che anche Renew non è compatta nel sostenere certi indirizzi. Per cui lo scenario mi sembra in grande evoluzione. I popolari vogliono giocare da protagonisti, polarizzando fortemente il prossimo voto. Ma l’alleanza con Ecr ha diverse incognite, legate più che altro ai compagni di viaggio di Giorgia Meloni. Così come ci sarebbero diversi problemi in caso di inclusione della Lega. Ancora una volta, a essere “ingombranti” sono i compagni di viaggio del gruppo Id: Alternative für Deutschland e Rassemblement National.

Il mese scorso il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act, che regolamenta l’uso dell’intelligenza artificiale in Ue. Lei ha seguito a lungo questo dossier. Qual è lo stato dell’arte?

È stata, innanzitutto, una trattativa molto lunga: oltre due anni di discussione. Il dibattito si è infatti dovuto adeguare ai rapidissimi sviluppi a cui l’intelligenza artificiale è andata incontro. Restano, tuttavia, da sciogliere due modi a mio giudizio. Il primo è legato, anche sotto il profilo metodologico, alle modalità di implementazione del regolamento, affinché non sia qualcosa di inutile o per lo meno non al passo coi tempi. In questa ottica andrebbe permesso alle aziende, sulle applicazioni ad alto rischio, di sviluppare sistemi propri.

Forse sarebbe auspicabile, in questo senso, una strategia comune tra gli stati membri. 

Qui si arriva al secondo punto nevralgico. Sì, la strategia comune sarebbe auspicabile soprattutto affinché la politica ponesse le condizioni per favorire gli investimenti privati nell’intelligenza artificiale e in particolare in quella generativa.

Che opinione ha del processo di revisione della legislazione farmaceutica europea?

Sono tre, sostanzialmente, gli obiettivi che si pone: aumentare la resilienza del sistema produttivo, anche alla luce dell’esperienza maturata durante la pandemia; favorire e rendere il più possibile omogeneo l’accesso ai farmaci per la popolazione europea – allineando la parte orientale e quella occidentale – e, da ultimo, incoraggiare l’innovazione. Sulla messa a segno di questi tre obiettivi si allunga un grande punto di domanda. Anche in questo comparto è sempre più evidente la necessità di un recupero della competitività europea e della creazione di un mercato unico europeo del farmaco. Il dossier, comunque, è aperto.

Un commento sui comparti di automotive e packaging. 

Per ora nel settore dell’automotive la partita sembra essere chiusa, con il bando per il motore endotermico entro il 2035. Si potranno, tuttavia, aprire degli spiragli futuri. E su questo è auspicabile che l’Italia agisca d’anticipo su alcune clausole che potranno essere riviste. Sugli imballaggi la linea prevalente sembra essere quella del riuso, anziché del riciclo che è un nostro punto di forza. Questa cosa ci ha spiazzati totalmente e ora giochiamo in difesa. Il tema è ancora aperto, ma dubito che ci potranno essere cambiamenti soddisfacenti per il nostro sistema produttivo. E il rischio è quello di decisioni fortemente penalizzanti per l’Italia.

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