Skip to main content

Perché l’efficientamento case green è una ecopatrimoniale. La versione di Pedrizzi

La Direttiva europea non tiene in alcuna considerazione la profonda diversità del patrimonio edilizio italiano rispetto a quello degli altri Paesi europei, oltretutto costituito da immobili realizzati in epoche anche molto lontane nel tempo ed in contesti unici dal punto di vista territoriale, storico, artistico, culturale

La Direttiva europea sulle case green qualora venisse approvata sarebbe una vera e propria “ecopatrimoniale”, contro la quale si è sempre battuta Federpoprietà. Come si ricorderà fummo i primi a sollevare il problema delle intenzioni della Commissione europea sul tema dell’efficienza energetica, così come si stava prospettando fin dall’estate del 2021, allorquando denunciammo che “la nuova direttiva sull’efficienza energetica degli edifici, attesa per il prossimo 14 dicembre, con la quale, di fatto, si procede a una sorta di esproprio ecologista degli immobili ‘non a norma’, è l’ennesima misura bizzarra della Ue e un altro colpo micidiale al mercato e al patrimonio immobiliare degli italiani”.

Dopo tali proteste, Bruxelles fece marcia indietro con il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans che disse in conferenza stampa (prima di Natale 2021): “La proposta è lasciare agli Stati membri la libertà di decidere come far rispettare gli standard minimi. Ciò già accade con successo in vari Stati membri. Da questa esperienze – continuava Timmermans – ogni Stato potrà trarre le lezioni necessarie per applicare nella maniera più giusta ed efficace la nostra proposta. Un sostegno finanziario è e sarà sicuramente necessario. In molti casi si potrà ottenere un sostegno dal governo italiano o dall’Unione europea per aumentare il valore della propria casa e ridurre la propria bolletta energetica. Ci vogliono sforzi – concluse il Commissario per il clima – ma sicuramente ne vale la pena…”. Naturalmente non c’era da fidarsi.

Infatti dopo qualche mese paventammo ed evidenziammo nel corso di un Convegno, promosso dalla suddetta associazione e dal Censis, che “l’Europa avrebbe continuato a minacciare i proprietari, per cui chiedevamo che il governo li sostenesse”. “Di sicuro, l’obbligo di efficientamento energetico degli immobili, a carico dei proprietari, unito al rincaro delle bollette e del costo della vita, avrebbe rappresentato – sostenne chi scrive – un peso insostenibile per il settore, che va sostenuto e non penalizzato”.

Successivamente eravamo tornati sul tema con un articolo nel quale sottolineavamo “che in Italia abbiamo uno stock immobiliare molto vecchio costituito prevalentemente negli anni sessanta e settanta del secolo scorso”, per cui “se non saranno più consentite le compravendite di immobili sotto una certa classe energetica, vorrebbe dire azzerare il valore dei beni che non saranno adeguati ai nuovi requisiti”. “La normativa che potrebbe arrivare da Bruxelles ha poi il difetto di disciplinare in modo uniforme ciò che ha una forte specificità locale”.

“La casa e la proprietà edilizia, bene rifugio per eccellenza degli italiani, in questo modo è sotto attacco della politica, specialmente di quella europea e mondialista, per cattiva conoscenza della materia ovvero per pregiudizi ideologici.”, per cui è da condividere completamente la Risoluzione approvata al Parlamento italiano per chiedere al governo di scongiurare l’approvazione della Direttiva in quanto in Italia “la casa è sacra e non si tocca”.

In effetti, in questa logica, contro i nostri interessi, si vogliono seguire in maniera pedissequa gli Stati del Nord Europa.

Per questa ragione Federproprietà-Arpe, che associa decine di migliaia di piccoli proprietari di case, ha espresso sempre forti preoccupazioni circa i gravi rischi che incombono sulla casa e sul risparmio degli italiani, ove la Direttiva dovesse passare e ha ribadito, anche in questi giorni, la sua opposizione ad un programma di efficientamento dai ritmi così serrati, che non solo sarebbe irrealizzabile nel nostro Paese senza contributi da parte dell’Ue con cui sovvenzionare gli interventi a favore dei ceti medio-bassi, ma, sopratutto, comporterebbe l’inevitabile svalutazione di tutto il nostro patrimonio edilizio, creando speculazioni immobiliari di cui potrebbero beneficiare soltanto fondi speculativi e società finanziarie internazionali.

La Direttiva europea, infatti, non tiene in alcuna considerazione la profonda diversità del patrimonio edilizio italiano rispetto a quello degli altri Paesi europei, oltretutto costituito da immobili realizzati in epoche anche molto lontane nel tempo ed in contesti unici dal punto di vista territoriale, storico, artistico, culturale.

Questo patrimonio edilizio è tradizionalmente di proprietà diffusa dei privati, delle famiglie italiane, che per questo “sogno” hanno finalizzato da sempre i propri risparmi (si calcola che siano circa 10 milioni le famiglie, che dovrebbero eseguire lavori fra il 2030 ed il 2033, con costi di migliaia di euro per ogni appartamento).

Secondo Federproprietà-Arpe, ancora prima di imporre l’efficientamento energetico, bisognerebbe affrontare il problema della messa in sicurezza di questo patrimonio che per la fragilità del territorio deve sopportare gravissimi eventi sismici e calamitosi, che frequentemente funestano il nostro Paese: realizzare “il cappotto termico” di un edificio, senza preoccuparsi di verificarne la salute strutturale e provvedervi di conseguenza, appare illogico ed incoerente.

Proprio nei giorni scorsi Franco Bernabé e Alberto Clò, al Festival dell’Economia di Trento, hanno accusato l’attuale Esecutivo europeo di “fondamentalismo ecologico” e di “bulimia regolatoria”. In particolare Bernabè, manager in passato di Eni, che è oggi presidente di Acciaierie d’Italia, ha detto: “Per la transizione i tempi non possono essere quelli dettati dalla Ue. Non si può banalizzare tutto dicendo ‘si può fare domani’. Servono prospettive di medio termine, fissare obblighi compatibili con i tempi industriali, che sono veloci ma richiedono comunque pianificazione”.

Dal canto suo in un’intervista Alberto Clò ha sparato ad alzo zero dicendo “non vedo l’ora che Ursula von der Leyen e il commissario Frans Timmermans vadano a casa, perché li ritengo i maggiori responsabili di quanto sta accadendo”. “Mi riferisco al furore ecologista che ha infettato Bruxelles, a questa smania di legiferare di continuo senza verificare la fondatezza economica e la sostenibilità di obblighi che alla fine colpiscono sempre i ceti più poveri. Il tutto senza avere un minimo di rispetto per i principi democratici: per cui dall’oggi al domani una famiglia media italiana si trova a dover sostituire la caldaia o ad efficientare casa. Bene, efficientare casa può voler dire, su un immobile di 100 metri quadrati, spendere 60-70 mila euro”.

E per rispettare i dettami Ue sarebbe necessario avviare ogni anno, per l’intera durata dei 10 anni, circa 880.000 cantieri, più del doppio di quelli aperti fino a febbraio 2023 in occasione del Superbonus (385.000).

L’applicazione della direttiva avrebbe, complessivamente un costo di circa 200 miliardi per il primo step (tutti in classe E) e di 365-420 miliardi se si decidesse di arrivare direttamente in classe D, con 8,8 milioni di edifici interessati pari a 18,8 milioni di abitazioni. Se questa non è una vera e propria patrimoniale per tutte le famiglie italiane, cosa sarebbe?

Proprio per questa impraticabilità della Direttiva, oltre alle continue prese di posizione, sia da parte dei tecnici del settore che della cultura scientifica, anche la politica con tutti i partiti della maggioranza di Destracentro sono contrari a questo provvedimento.

Ed ecco perché, invece, verdi e sinistra, sempre sensibili a bastonare piccoli proprietari e risparmiatori, sono tutti molto favorevoli alla tassa green.



×

Iscriviti alla newsletter