Indebolire il ruolo dell’unica figura, da tempo così ben incarnata da Sergio Mattarella, che rappresenta l’unità nazionale e la dimensione super partes, finirebbe per aumentare il già troppo diffuso senso di “divisività”
Le tante reazioni e i tanti commenti favorevoli, e in non pochi casi stupiti, rispetto al mio articolo dei giorni scorsi sul vero punto di origine e sugli sviluppi e sulle manifestazioni pericolosamente in atto del “bipolarismo muscolare all’italiana” mi confermano un mio vecchio presentimento. Ovvero, che se non si rilancia un serio senso della memoria storica non si possono sciogliere i veri nodi e le vere questioni del Paese.
Se al posto del “presentismo” e dell’oggicrazia non si recupera il senso della memoria storica, specie tra la classe politica, ma anche per molti versi in quella giornalistica, né si può operare degnamente nel presente né tantomeno si può progettare il futuro. Ovviamente come avviene per fenomeni di questo tipo il “bipolarismo muscolare all’italiana” si nutre oltre che del continuo pestare il mortaio sullo scontro storico tra politica e giustizia (o parte della magistratura), dell’individuazione di idola fori o idola tribus, che finiscono irrimediabilmente per rafforzare i vizi cronici di questa patologia italiana.
Per mettere i piedi nel piatto, mi riferisco alla spesso tanto agitata questione relativa ad una proposta forte del programma dell’attuale presidente del Consiglio Meloni: presidenzialismo, o presidenzialismo all’italiana che sia. Anche qui mi sembra il caso di recuperare un po’ il senso della memoria storica e, al di là del fallimento delle varie commissioni bicamerali che si sono succedute, guarda caso anche a questo proposito sovviene la memoria di Giovanni Spadolini di cui il prossimo anno ricorrerà il 30° dalla scomparsa e quello seguente il centenario dalla nascita. Ebbene, il primo presidente del Consiglio laico, repubblicano e non democristiano, guarda caso, nel 1981 pose al centro dell’azione di governo un “decalogo istituzionale” per affrontare quella che già allora veniva individuata come emergenza istituzionale, che caratterizzò insieme all’emergenza economica e all’emergenza morale (lo scoppio dello scandalo P2), le grandi sfide del primo governo Spadolini e che aveva indotto il Presidente della Repubblica di allora, Sandro Pertini, ad assegnare l’incarico di governo a una personalità specchiatissima anche sul piano morale, oltre che su quello politico e culturale.
Il senso di fondo di questo decalogo istituzionale era quello di puntare, tramite piccole e medie riforme, al rafforzamento del ruolo del governo e di quello del presidente del Consiglio. Il grande storico, già direttore del Corriere della sera, sapeva benissimo però che anche in quel frangente, come oggi del resto, la figura fondamentale che incarnava il senso dell’unità nazionale era il Presidente della Repubblica, Pertini, il primo Presidente “più apprezzato dagli italiani”. La linea era, quindi, di rafforzare il ruolo del presidente del Consiglio senza indebolire il ruolo del Presidente della Repubblica.
Guarda caso oggi come emerge nei sondaggi più recenti, la figura in cui si riconoscono di più gli italiani è quella del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. I non pochi costituzionalisti, magari anche bravi e seri a cui mi sembra non dispiaccia “salire sul carro del vincitore”, hanno contribuito e stanno contribuendo a fare emergere in modo più plausibile la proposta dell’elezione diretta del premier. Ciò sembrerebbe in apparenza un vulnus minore alla figura istituzionale del Presidente della Repubblica, ma non c’è bisogno di aver studiato o insegnato tutte le pandette costituzionali per capire che se al Capo dello Stato si toglie quella sorta di elegante bastone della nomina del premier si indebolisce decisamente la sua figura e il suo ruolo. Così come un premier eletto dal popolo avrebbe una investitura e legittimazione molto più forte di quella di un Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento.
Ma non è questo solo il punto. Una elezione diretta del premier, ed ancora più del Presidente della Repubblica, spaccherebbe in due il Paese come una mela, né importa se la fetta di mela in mano ai possibili vincitori sarebbe un po’ più grande. Questa sarebbe una puntura letale per moltiplicare ancora di più i già pericolosi troppi ormoni del bipolarismo muscolare all’italiana. Tutto il rispetto e la comprensione per il fatto che la politica abbia bisogno di idola fori ed idola tribus, ma finché questi idola vengono evocati in campagna elettorale o nell’agone politico è un punto, quando si prova a tradurli in norme costituzionali, la debole impalcatura del fine e delicato sistema di pesi e contrappesi su cui si regge il succo centrale della parte seconda della Costituzione, prenderebbe scossoni che potrebbero essere anche letali.
Il bipolarismo muscolare, tornato in vita alla grande da alcune settimane, nasce anche da quella “divisività”, tendenza a cercare le ragioni che dividono invece che quelle che uniscono, che da molto tempo caratterizza la vita politica italiana. Togliere il piedistallo fondamentale, indebolire il ruolo dell’unica figura, da tempo così ben incarnata da Sergio Mattarella, che rappresenta l’unità nazionale, la dimensione super partes, il ricorso spesso a silenzi che parlano rispetto al troppo cicaleccio che impera finirebbe per aumentare non solo il già troppo diffuso senso di “divisività”, ma anche ovviamente per alimentare significativamente nei suoi aspetti peggiori il bipolarismo muscolare.
Già in altre occasioni mi è capitato di ricordare che se si deve rafforzare il ruolo del governo ed in seno ad esso quello del presidente del Consiglio (che già oggi tra l’altro nella Costituzione materiale è non poco preminente) non c’è assolutamente bisogno di continuare ad agitare o cercare di dare corpo ad idola fori, come l’elezione diretta, ma basta optare per un modello del tipo di quello tedesco: fiducia parlamentare al solo presidente del Consiglio, potere di nomina e revoca dei ministri, sfiducia costruttiva (se si vuole fare cadere un governo bisogna indicare un nuovo governo e una nuova maggioranza). Mio nonno avrebbe detto che con l’elezione diretta si finisce per sparare con un cannone a una mosca, ma inoltre sparando con quel cannone si gonfierebbero con ormoni semilatali i già troppi muscoli del bipolarismo all’italiana, tramite una elezione che sarebbe una sorta di ulteriore più forte chiamata alle armi in un Paese in cui sarebbe piu necessario abbassare gli scudi e occuparsi dei veri e concreti problemi degli italiani.
E poi sarebbe il caso che le forze politiche, al posto di rivendicare o meno la sconfitta o la vittoria del momento, si interrogassero su quel tendenziale 50% del corpo elettorale che pur per qualche ragione non si presenta più alle urne…