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L’eredità del metodo democristiano trent’anni dopo. Parla Mannino

A trent’anni dalla dissoluzione della Democrazia Cristiana, il vecchio metodo che ne costituì le fondamenta dell’azione politica ancora funziona. Tant’è che anche il premier Meloni, sia internamente, sia su scala internazionale, ne è un’interprete. Conversazione con l’ex ministro democristiano

Da trent’anni la Balena Bianca non nuota più. Luglio ’93. Mino Martinazzoli e il “cenacolo Scoppola” misero la parola fine all’esperienza politica della Democrazia Cristiana. Il resto è storia. Le evoluzioni e le diversissime esperienze che i democristiani intrapresero fanno parte di una fase politica nella quale era inevitabile che “tornassero al governo o i post comunisti o i post fascisti. Ma tutti coloro che hanno governato, per quello di buono che hanno fatto per il Paese, hanno applicato il metodo democristiano”. Ne è certo l’ex ministro Dc, Calogero Mannino che, con la sua narrazione plastica della storia, ci riporta indietro nel tempo tratteggiando le geometrie della politica che fu.

Mannino, cosa ricorda del luglio di trent’anni fa?

Mi sembrò che allora si avverasse la profezia e prendesse forma il timore che aveva sempre manifestato Aldo Moro: ossia la dissoluzione della Democrazia Cristiana. Questo ricordo. Martinazzoli e il cenacolo Scoppola (di cui facevano parte esponenti come Andreatta e Elia) decisero di porre fine a quell’esperienza. I democristiani quindi si divisero: la parte moderata propese, in ottica di alleanze, verso i socialisti di Bettino Craxi. La sinistra Dc pensava che fosse venuto il tempo di realizzare le previsioni di Scoppola.

Allearsi con il Partito Comunista Italiano?

Sembra paradossale. Eppure, mentre in chiave internazionale il comunismo era in frantumi e aveva dimostrato tutti i suoi limiti, in particolare a seguito della caduta del muro di Berlino, il condottiero del Pci Luciano Violante teorizzò il “taglio” della Balena Bianca per assorbirne una parte. Va detto che c’era anche un contesto politico che favoriva questa soluzione, a partire dal referendum Segni e dalla legge elettorale di Mattarella, che fu tra gli artefici della politica di Martinazzoli.

In premessa lei ha detto che chi ha governato in questi trent’anni, se ha ottenuto qualche successo, lo deve all’applicazione del metodo democristiano. Perché?

Negli ultimi trent’anni la politica a cosa ha condotto? Alla svendita di asset fondamentali per il Paese come la chimica, alla riduzione ai minimi termini della siderurgia e alla totale assenza di una politica energetica. Il metodo democristiano, invece, è ciò che ha portato benefici al Paese. In nome della buona politica e della capacità di visione in prospettiva.

Il premier Giorgia Meloni ne è un’interprete?

Credo che Meloni faccia ogni sforzo per l’applicazione del metodo democristiano. E mi pare che questa linea sia particolarmente evidente nell’indirizzo che questo esecutivo ha assunto sulla politica estera. Il suo operato politico, così saldamente filo-atlantista, finisce per assumere una veste democristiana.

Utilizzerà questa linea anche per delineare il quadro di alleanze in vista delle europee del prossimo anno?

Lei è la leader del gruppo conservatore in Europa. Però il contesto politico la spinge a stringere rapporti sempre più saldi con i popolari – gli eredi della tradizione politica democristiana – e ad allontanarsi dai partiti di destra.

Ancora oggi, nella politica italiana, ci sono tanti ex democristiani. Si può dire che in parte la storia e la tradizione della Dc cammini sulle loro gambe?

Ci sono tanti amici ex democristiani che hanno intrapreso, al termine della storia della Dc, sentieri differenti. Sono tutte persone che hanno cercato di ricordare l’esperienza della Democrazia Cristiana, ma non l’hanno testimoniata. Perché testimoniarla avrebbe significato rappresentarla senza il condizionamento pregiudiziale delle alleanze. Così, però, non è stato.


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