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Spesa, concorrenza e payback. Il vademecum di Farmindustria

A tre anni dallo scoppio della pandemia, per le imprese farmaceutiche è tempo di tornare a guardare avanti, gettando nuove basi per la crescita di un settore che vale il 2% del Pil. Subito una revisione della spesa, stop al payback e meno burocrazia. E occhio alla concorrenza dei Paesi arabi​

La pandemia è un ricordo, ma di certo non lontano. Le imprese del farmaco portano ancora i segni dei due anni terribili vissuti a cavallo tra il 2020 e il 2022. Certo, lo scorso anno i ricavi delle maggiori aziende farmaceutiche sono cresciuti, ma tutto o quasi, è riconducibile all’export. Di qui, l’interrogativo di fondo degli imprenditori accorsi all’Auditorium della Conciliazione in occasione dell’assemblea annuale di Farmindustria, apertasi con l’Inno di Mameli: quale futuro in Italia per un’industria che ancora oggi rappresenta uno dei cuori pulsanti della produttività tricolore?

A sentire il presidente Marcello Cattani (qui l’intervista a Formiche.net), intervenuto davanti ai ministri Adolfo Urso, Orazio Schillaci, Raffaele Fitto e Anna Maria Bernini, la parola d’ordine è “alzare l’asticella”. Perché per fare buona impresa, è il messaggio di fondo di Farmindustria, occorre uno Stato capace non solo di rendere la vita delle aziende più facile, a cominciare dalla burocrazia, ma anche capace di leggere il futuro e capirne per tempo i cambiamenti.

PILASTRO ALL’ITALIANA

Farmaceutica, uno dei pilastri dell’economia italiana. Lo confermano i numeri illustrati proprio in occasione dell’assise degli imprenditori del farmaco. Ebbene, il contributo diretto e con l’indotto totale risulta oggi pari a circa il 2% del Pil. E con misure a favore degli investimenti, promette Farmindustria, nel giro dei prossimi 5 anni si potranno centrare obiettivi altrettanto ambiziosi: contribuire all’incremento del Pil fino all’1%, aumentando l’occupazione di 20.000 addetti diretti e indiretti.

“L’Italia è ormai protagonista in Europa. Anche con l’industria farmaceutica e i numeri lo dimostrano: 49 miliardi di euro di produzione nel 2022, di cui 47,6 miliardi di export, 3,3 miliardi investiti in produzione e R&S, 68.600 addetti, di cui le donne rappresentano il 44% del totale. Un’occupazione di qualità cresciuta del 9% in 5 anni, soprattutto tra i giovani (+16%) e le donne (+13%). Aziende farmaceutiche che sono anche all’avanguardia per gli standard di sostenibilità e nel welfare che assicura la conciliazione vita-lavoro. Oggi viviamo una trasformazione epocale, dovuta ai mutamenti geopolitici e demografici, alla competizione internazionale, all’innovazione che corre velocissima grazie alle nuove tecnologie, ai big data e all’intelligenza artificiale”, ha tenuto a precisare Cattani. Fin qui lo stato dell’arte. Ma serve un colpo di reni.

UNA CHIAMATA PER LA POLITICA

Cattani non ha dubbi: adesso occorre guardarsi bene intorno e premere sull’acceleratore. “Oggi viviamo una trasformazione epocale, dovuta ai mutamenti geopolitici e demografici, alla competizione internazionale, all’innovazione che corre velocissima grazie alle nuove tecnologie, ai big data e all’intelligenza artificiale. È questo quindi il momento di sviluppare una nuova visione che permetta all’Italia di crescere e recuperare velocemente il gap competitivo con altri Paesi, in un sistema a misura di paziente e rivolto al futuro. L’industria farmaceutica è strategica  risponde infatti a esigenze di salute, crescita, sicurezza nazionale ed efficienza della spesa pubblica, evitando costi nelle altre prestazioni sanitarie e di welfare”.

E anche l’Europa deve fare la sua parte. Invertendo “una tendenza che da 20 anni la vede perdere quote mondiali di investimenti rispetto a Usa e Cina, che invece guadagnano terreno. In più oggi c’è la forte concorrenza anche di Paesi emergenti, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Singapore, che mettono sul piatto misure molto attrattive. Una concorrenza alla quale l’Italia e l’Europa devono rispondere come Nazione e come continente. L’industria farmaceutica made in Italy è un patrimonio di sviluppo che deve essere considerato tale nei progetti di nuove politiche industriali per il Paese e i territori”.

UN VADEMECUM PER MELONI

Ed ecco le richieste del settore, tutte abbastanza urgenti, a cominciare dal disinnesco strutturale del payback. Cattani è stato chiaro, servono “regole nuove, innanzitutto nella gestione della spesa, che è fondamentale per l’attrattività degli investimenti, messa a forte rischio da livelli ormai insostenibili di payback, proiettati a 1,5 miliardi nel 2023 e 1,8 nel 2024 (15% del fatturato di chi lo sostiene). E ancora: rimodulare i due tetti di spesa, includere già dal 2023 i farmaci a innovatività condizionata nel fondo innovazione, aumentare le risorse e uniformare le regole di gestione della spesa a livello regionale, che creano differenze sui territori”.

Obiettivi che possono essere raggiunti anche con un “rapido completamento della riforma dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa), che consentirà di modernizzare le valutazioni delle terapie basate sul valore per migliorare ulteriormente la disponibilità e per gestire la spesa in modo compatibile con la presenza industriale”.

Cruciali anche “strumenti efficaci per gli investimenti, superando i vincoli del regime Ue di aiuti di Stato e aumentando la possibilità di utilizzare gli attuali incentivi per ricerca e produzione. Il governo ha manifestato fin dall’inizio grande disponibilità al dialogo, in un clima di fiducia, dimostrando nei fatti di credere nella nostra industria come valore per l’intera Nazione. E assumendo anche una posizione forte in Ue a tutela della proprietà intellettuale per la proposta di revisione della legislazione farmaceutica. Questo governo si fida di chi fa impresa e di chi vuole lavorare ha dichiarato il presidente del Consiglio Giorgia Meloni qualche giorno fa. Noi facciamo impresa e vogliamo lavorare”.

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