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Dall’Europa a Istanbul, cosa spera di ottenere Putin fermando l’accordo sul grano

I ripetuti attacchi ad Odessa appaiono come una pietra tombale apposta da Mosca sull’accordo del grano. Ma cosa spinge la Russia a non voler tornare indietro? Le varie interpretazioni che riguardano Kyiv, Istanbul, Bruxelles, fino ad arrivare a un piano globale

Per la seconda notte di seguito le infrastrutture portuali di Odessa sono state bersagliate dai missili russi, in quello che il sindaco della città Hennadii Trukhanov ha definito “il più vasto attacco dall’inizio della guerra”. Obiettivo e tempistica non sono casuali. L’escalation offensiva contro la città della costa ucraina si sta verificando in seguito al ritiro della Russia dalla Black Sea Grain Initiative, l’accordo sponsorizzato da Nazioni Unite e Turchia che garantiva l’esportazione sicura del grano ucraino verso paesi in via di sviluppo fortemente dipendenti dalle importazioni cerealicole del paese in guerra. Il messaggio dietro gli attacchi russi è chiaro: senza di noi non è possibile continuare ad esportare grano. Cosa che le autorità ucraine dichiarano di essere intenzionate a fare, seppur senza chiarire attraverso quali percorsi.

Contrariamente alle previsioni, lo stop di Mosca all’accordo sul grano non ha avuto (almeno sino ad ora) pesanti ripercussioni finanziarie: i mercati internazionali, memori di quanto accaduto lo scorso anno, avevano già previsto la fuoriuscita russa, e si erano già adeguati a questa possibilità, anche grazie ad un aumento delle esportazioni da altre regioni del globo. Ma questa carenza di conseguenze rilevanti non compromette il senso generale della manovra diplomatica del Cremlino. Ed è proprio tramite la chiave di lettura della diplomazia che si possono comprendere al meglio le dinamiche alla base della decisione di Mosca.

Un indizio importante in questa direzione è la dichiarazione del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, il quale annuncia la disponibilità di Mosca a sostituire gratuitamente la fornitura di grano ucraino ai paesi che più ne hanno necessità. Con queste parole Mosca sottintende che il ritiro dall’accordo sul grano è legato esclusivamente alle responsabilità di un Occidente egoista e solipsista, e che la Russia, ben consapevole delle possibili conseguenze su paesi terzi ed innocenti, intende sobbarcarsene direttamente il peso per non commettere ingiustizie. Riuscendo così a promuovere l’immagine di Mosca nel “Global south”, e demolendo allo stesso tempo quella dei rivali occidentali. Sul fatto che questa generosità possa portare a benefici concreti per il mercato interno russo, limitando l’offerta del grano con tutte le sue possibili conseguenze, Peskov ha furbamente deciso di sorvolare.

Sempre la logica del danneggiamento dell’Occidente rappresenta un’altra interessante prospettiva da cui guardare alla vicenda: limitando l’esportazione navale delle riserve di cereali e di olio di semi, la Russia costringe Kyiv a cercare percorsi alternativi per poter vendere all’estero i beni di cui dispone in abbondanza (e potersi così garantire un afflusso di risorse necessarie al sostentamento dello sforzo bellico). Con le rotte navali bloccate e con il trasporto aereo incapace di offrire un’alternativa economicamente efficace, l’unica strada percorribile è quella della via terrestre, che interesserebbe principalmente i paesi dell’Unione europea. La quale però, memore di quanto avvenuto con le Solidarity lanes, potrebbe non rivelarsi particolarmente predisposta ad importare ulteriori quantitativi di prodotti di Kyiv (non a caso, a poche ore dal collasso dell’Iniziativa del Mar Nero è arrivata la richiesta da parte di 5 stati-membri di estendere il divieto di importazione del grano ucraino fino al 15 settembre). Il calcolo di Mosca è abbastanza semplice: se una reazione negativa dell’Europa danneggerebbe i rapporti tra Bruxelles e Kyiv (assieme alle possibilità di guadagno di quest’ultima), una positiva causerebbe invece l’aggravarsi di tensione tra le componenti interne dell’Ue. Uno scenario win-win per il Cremlino.

Ultima doverosa considerazione sulla portata diplomatica del ritiro russo riguarda la Turchia, e in particolare il suo presidente Recep Tayyip Erdoğan. Da sempre considerato equidistante tra le posizioni dell’Occidente e quelle della Russia, Erdoğan è stato in grado di ritagliarsi il ruolo del “grande mediatore” tra i due poli; ed è proprio grazie a questa sua reputazione che il presidente turco è stata una figura chiave del raggiungimento dell’accordo sul grano nel 2022. Tuttavia, negli ultimi tempi Erdoğan ha assunto una posizione meno neutra e più sbilanciata verso Ovest. In questo senso, lo stop moscovita alla Black Sea Grain Initiative potrebbe essere interpretato come un altolà nei confronti del Sultano.

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