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Come innovare per salvare l’istruzione. L’analisi di Zecchini

Consistenti finanziamenti sono stati assegnati, ma il sistema necessita di profonde innovazioni, che ben difficilmente verranno da un apparato di funzionari, docenti ed organizzazioni sindacali formatisi nel vecchio sistema oggi in crisi e disposti a cambiamenti solo al margine. L’analisi di Salvatore Zecchini

Ormai non destano più né scalpore, né sorpresa i risultanti disarmanti, per non dire preoccupanti, che ci consegnano i test Invalsi dello scorso giugno sui livelli di apprendimento degli studenti italiani. Dati così rilevanti non hanno ricevuto tutta l’attenzione dovuta nei media e nella sfera politica, pur certificando con ampie statistiche una triste condizione: a tre anni dalla crisi indotta dalla pandemia una notevole parte delle nuove generazioni di giovani non possiede un adeguato livello di conoscenza della lingua madre ed è ancor più carente in matematica, mentre va un poco meglio nella lettura dell’inglese, ma non nell’ascolto.

Questa realtà è nota e alquanto sottovalutata da diversi anni, quasi che ci sia un senso di assuefazione alla diffusa ignoranza e la consapevolezza che solo gradualmente sia possibile riportare gli studenti ai risultati pre-Covid del 2019 e andare oltre per avvicinarsi alle medie dell’Ue. Indubbiamente dal 2021 vi sono stati alcuni miglioramenti, che tuttavia non alterano un quadro insoddisfacente e a tinte fortemente contrastanti a seconda dei corsi di studio, delle classi e delle aree del Paese. In particolare, il sistema istruzione non mostra di essere in grado di riconquistare facilmente i risultati del 2019 contando soltanto sul suo attuale assetto e sul suo capitale umano. Quindi necessita di cambiamenti, che sono resi ancor più urgenti in un mondo in piena svolta tecnologia e col rischio per il Paese di restare indietro e perdente nel contesto delle nazioni. Già da anni si ritrova tra le ultime posizioni nelle graduatorie internazionali.

Quali gli aspetti inquietanti? In primo piano appare la notevole distanza del sapere degli studenti dai livelli pre-Covid nella scuola secondaria sia di primo grado, sia in quella del ciclo finale degli studi. Nella scuola “media”, poco meno dei due quinti (39%) degli studenti non comprende a sufficienza il significato delle letture in italiano e una quota ancor più alta (45%) non ha acquisito una conoscenza adeguata in matematica. Alla fine del ciclo d’istruzione, ovvero nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, dopo otto anni di studio, quasi la metà degli studenti (49,3%) ha cognizioni insufficienti a comprendere il senso di un articolato testo in italiano, e la metà non raggiunge una sufficiente padronanza nell’interpretare modelli matematici e nella soluzione di problemi non semplici. In entrambi i campi si registra rispetto al 2019 un considerevole abbassamento dell’apprendimento, con cadute di 15 punti percentuali per l’italiano e di circa 9 per la matematica.

Il forte calo è evidente nel 2021, ma va considerata anche l’evoluzione nel biennio successivo, che non vede una consistente ripresa dei punteggi ma una sostanziale stabilità dei risultati nelle due discipline per l’intero ciclo d’istruzione secondaria. In controtendenza la conoscenza dell’inglese nella forma scritta, in cui alla fine del ciclo si assiste dopo i modesti regressi iniziali a una ripresa e un avanzamento. Nella comprensione dell’inglese orale i risultati, pur non peggiorando significativamente, evidenziano notevoli difficoltà, con più della metà degli studenti non in grado di comprendere discorsi complessi (51% e 63% per i due livelli di difficoltà). Il ritardo nella ripresa degli apprendimenti nelle prime due discipline segnala anche che si sono determinate perdite secche di conoscenza, che non è certo che saranno recuperate nel prosieguo delle attività del giovane e che peseranno nel suo inserimento nel lavoro.

Si va meglio nella scuola primaria perché gli allievi in media accusano inizialmente un modesto peggioramento dei risultati, ma riescono sostanzialmente a recuperare entro il 2023 nei tre ordini di materie. Le differenze di rendimento tra scuole e tra Italiano e Matematica sono altresì contenute, benché già si manifestino segni di debolezza in aritmetica e nel Mezzogiorno.

I dati medi che raffigurano la condizione del Paese nascondono una notevole eterogeneità di risultati sul territorio, tra indirizzi di studio, materie, scuole, classi, ambiente socio-economico-culturale e genere degli studenti. L’apprendimento al Sud subisce i cali più consistenti e i maggiori ritardi nella ripresa. Il Nord-Est si conferma come l’area migliore e il Sud con le Isole la meno avanzata.

La performance nei licei resta nettamente superiore a quella negli altri istituti, con le studentesse che ottengono un punteggio lievemente superiore a quello dell’altro genere in Italiano e l’opposto in Matematica. I divari tra le classi sono più contenuti che tra le scuole, possibilmente per effetto di aspetti legati al contesto di ubicazione più che alla qualità della docenza e dei discenti. Differenze significative di performance rilevano anche tra studenti provenienti da diversi ambienti familiari. Ad aggravarsi è anche il fenomeno degli studenti che completano il ciclo di istruzione secondaria privi del bagaglio di competenze previsto per il traguardo finale, ovvero la dispersione implicita. In altri termini, si esce dal ciclo d’istruzione con un livello di conoscenze equivalente a quello del primo biennio della secondaria di secondo livello o della scuola media con ripercussioni sfavorevoli nella partecipazione al mondo del lavoro. Questa dispersione è salita al 9,5% degli studenti, con quote oltre il 22% in Calabria e del 20% in Campania.

Il deficit nazionale di apprendimento tracciato da Invalsi non può, peraltro, imputarsi a una particolare difficoltà dei test, in quanto gli esiti sono in linea con l’altra grande valutazione condotta dall’Ocse per un ampio gruppo di paesi, che passa con l’acronimo di Pisa.

Bisogna anche considerare le eccellenze negli studi che non mancano in nessun paese. Nel nostro più del 13% ha avuto risultati eccellenti, con punte del 21% nei licei; tuttavia, ancora non si sono raggiunte le quote del 2019. Le eccellenze si associano a contesti ambientali avvantaggiati e si riscontrano soprattutto nel Nord-Est, come immagine speculare della minore incidenza delle insufficienze in questa area.

Il Rapporto Invalsi affronta altresì il difficile tema dell’equità del sistema, che consiste nella verifica del grado di uguaglianza delle opportunità d’apprendimento offerte, indipendentemente dalla scuola o classe che lo studente frequenta. In breve, le disparità di risultati ai test dovrebbero dipendere solo dalle capacità individuali. L’esito delle analisi quantitative sembrerebbe smentire questa ipotesi, perché sussistono significative disparità tra scuole e tra classi nella stessa scuola soprattutto nel Mezzogiorno. Alla fine della scuola media le differenze tra scuole in Matematica sono apprezzabili e al Sud e Isole ancor più alte tra classi sia in Matematica che in Italiano. La scelta della scuola e della classe da frequentare ha quindi importanza. La valutazione lascia a ogni modo alcuni margini di incertezza statistica.

L’esercizio di Invalsi si estende anche alla correlazione statistica tra i risultati studenteschi e altri fattori assunti come esplicativi delle performance, in particolare il contesto socio-economico-culturale della famiglia e della scuola. Per gli studenti al termine dell’istruzione secondaria, nelle performance in Matematica incide poco l’ambito familiare di provenienza più o meno favorevole, laddove pesa molto quello della scuola e dell’ambiente frequentato. Lo stesso può dirsi per la prova di Italiano, nonostante si attenui l’incidenza del contesto scolastico-ambientale.

La misurazione dei fattori ambientali getta qualche ombra su queste valutazioni a causa della difficoltà di individuare lo specifico ambiente in cui gravita lo studente. Appare d’altronde evidente che negli anni si è prodotto uno scadimento dei valori della popolazione studentesca, in qualche misura parallelo a quello della qualità dell’istruzione. I modelli comportamentali dei giovani, ampiamente diffusi dai media, congiuntamente col calo dell’attenzione dei genitori sul comportamento e sul rendimento scolastico dei figli hanno contribuito a un generalizzato rilassamento dell’impegno individuale negli studi. Si è al contempo assistito a un atteggiamento sempre più conflittuale dei genitori verso gli insegnanti che segnalano le carenze dei figli, con episodi estremi assurti alle pagine di cronaca dei giornali. Pertanto, in mancanza di una sostanziale rivalutazione dell’importanza dell’impegno nell’istruzione particolarmente in età giovanile, è poco probabile che si possa rovesciare la preoccupante situazione in cui versa l’istruzione nel Paese.

L’analisi di Invalsi tenta in qualche misura di stimare l’impatto dei fattori attinenti al sistema d’istruzione, ossia l’offerta, distinguendoli da quelli della domanda, rappresentata dalla disposizione e capacità dello studente di impegnarsi nell’apprendimento. Ne trae, tuttavia, conclusioni non interamente condivisibili a causa delle approssimazioni nell’esame di molte caratteristiche sia dell’offerta, sia della domanda. La performance dello studente è il prodotto di entrambi in quanto a una data offerta del sistema può non corrispondere una pari domanda da parte dello studente e viceversa. Le conclusioni tratte dagli indicatori di debolezza del sistema nel superare le sperequazioni scolastiche e fungere da ascensore sociale si fermano ai divari tra istituti e classi che compongono solo una parte del problema. Nessuna considerazione, invece, su come stimolare l’impegno dei giovani nell’istruirsi. Né alcun riferimento all’assetto costituzionale, che vede la responsabilità degli interventi condivisa tra Stato e Regioni, con il primo che fissa i principi generali e le seconde che li interpretano e adattano in modi diversi sul piano territoriale ed applicativo. Nondimeno, è importante che alla fine il Rapporto invochi “azioni innovative”, incluse quelle per la formazione dei docenti.

Come recuperare il terreno perduto ed avanzare oltre i livelli medi dell’UE? La risposta delle autorità si ritrova principalmente negli interventi del programma PNRR per la Missione M4C1 e del PON-FSE. Gli obiettivi enunciati consistono nel migliorare qualità e quantità dei servizi d’istruzione e formazione, e i processi di reclutamento e formazione dei docenti. Di particolare rilievo gli intenti di riorganizzare il sistema, potenziare gli ITS, ampliare le competenze scientifiche di discenti e docenti, modificare la formazione degli insegnanti e ridurre i divari sul territorio. Tutti buoni propositi per la cui realizzazione sono stanziati circa 4,5 miliardi.

Entrando nei dettagli degli interventi, le ambizioni si ridimensionano. La riforma dell’organizzazione si limita al dimensionamento di classi e rete scolastiche, nessun cenno alla riforma dei programmi d’insegnamento, né alle verifiche periodiche della preparazione dei docenti, né all’uso delle tecnologie ICT per assicurare su tutto il territorio pari livelli di elevata qualità d’insegnamento, né un cenno al bisogno di maggiore selettività nel reclutamento. Non si parla nemmeno di premiare il merito tanto tra studenti che tra insegnanti, attestato anche da test Invalsi per i docenti, né si promuove un più serio impegno dei discenti nell’apprendimento. Le risorse non vengono, inoltre, concentrate nelle discipline in cui si manifestano le maggiori debolezze (Matematica e Scienze), né vi è traccia di misure di efficientamento nel loro uso.

Consistenti finanziamenti sono stati assegnati, ma il sistema necessita di profonde innovazioni, che ben difficilmente verranno da un apparato di funzionari, docenti ed organizzazioni sindacali formatisi nel vecchio sistema oggi in crisi e disposti a cambiamenti solo al margine.


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