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La terza fase dell’integrazione europea spiegata da Fassino

Conversazione con l’ex guardasigilli, Piero Fassino: “Abbiamo il mercato unico ma non abbiamo ancora un’unione economica, né l’unione bancaria; abbiamo Schengen, ma abbiamo bisogno di fare molti passi in avanti per una cittadinanza europea; ci siamo dati un alto rappresentante, ma la politica estera è spesso paralizzata dal voto all’unanimità e quindi abbiamo bisogno di passare a un meccanismo decisionale più efficace”

Ha ragione Mario Draghi a chiedere uno scatto in avanti sulla strada delle riforme dell’Ue, spiega a Formiche.net l’ex guardasigilli Piero Fassino, sia perché è imprescindibile una terza fase dell’integrazione europea, sia perché l’Ue di oggi deve confrontarsi con quei soggetti “figli” della globalizzazione che ieri non erano attivi.

Il discorso di Mario Draghi al National Bureau of Economic di Cambridge, in Massachusetts (“serve revisione dei trattati per riformare l’Ue”) può essere la molla per fare davvero le riforme che da troppi anni non sono state effettuate?

Condivido il discorso e lo trovo molto importante, una sollecitazione giusta. Negli ultimi anni abbiamo constatato che la debolezza dell’Europa risiede nella difficoltà di presentarsi come un soggetto politico unito, coeso, in grado di parlare con una sola voce e agire con una sola mano. Da tempo sostengo che abbiamo bisogno di una “terza fase” del processo di integrazione europeo.

Ovvero?

La prima fase è stata quella dei padri fondatori. La seconda fase è stata quella dell’euro, di Maastricht, dell’allargamento ad est e adesso noi abbiamo bisogno di aprire una terza fase che in tutti i dossier faccia avanzare i processi di integrazione più alti. Abbiamo il mercato unico, ma non abbiamo ancora un’unione economica, né l’unione bancaria; abbiamo Schengen, ma abbiamo bisogno di fare molti passi in avanti per una cittadinanza europea; ci siamo dati un Alto rappresentante, ma la politica estera è spesso paralizzata dal voto all’unanimità e abbiamo bisogno di passare a un meccanismo decisionale più efficace. Ma non è tutto, perché la crisi ucraina ci mette di fronte alla necessità di avere una politica di difesa e di sicurezza europea effettiva. Inoltre, dopo il Covid, c’è da mettere in campo strategie adeguate sul piano sociale e di armonizzare i principali pilastri di welfare; per non parlare della questione fiscale che, se non troverà una modalità di armonizzazione, rischierà di diventare un elemento di continua debolezza interna all’Unione stessa. Insomma, è necessario un salto di qualità facendo di una più alta integrazione la leva per un’Europa più unita e più forte, in grado di non essere vaso di coccio tra i vasi di bronzo della globalizzazione.

In Europa ci sono le condizioni per procedere?

Se guardo al governo polacco, al governo ungherese, all’atteggiamento che ha il Governo italiano su molti dossier, se guardo alla dichiarazione di 13 Paesi che si sono manifestati contrari alla modifica del voto all’unanimità, vedo non pochi ostacoli di fronte a noi. Oggi mettere mano ai trattati richiede la consapevolezza che lo scenario politico europeo è meno favorevole di qualche anno fa. Detto questo, penso che gli ostacoli non ci debbano frenare, perché potremmo avere tra qualche anno uno scenario europeo peggiore.

A cosa si riferisce?

Che cosa succederà in Francia dopo che Macron avrà esaurito il suo secondo mandato ? Quali saranno gli equilibri in Germania nei prossimi anni con l’avanzata dei popolari e dell’Afd? Che equilibri si determineranno in altri paesi europei come ad esempio in Spagna? Già oggi c’è uno scenario europeo problematico che potrebbe diventare ancora più critico in futuro. Ma non possiamo attendere tempi migliori. La dimensione globale avanza rapidamente in ogni campo e l’Europa non può essere ai margini. Abbiamo necessità di un’Europa in grado di essere un soggetto forte del mondo globale. Per un lungo periodo l’Europa ha potuto costruire la sua integrazione in una dimensione autarchica. La Cina non c’era, nemmeno l’India e ancor di meno i tanti Paesi emergenti che oggi sono attori del mondo globale. Allora l’Unione europea e i suoi Stati membri potevano decidere contenuti, tempi, modi del percorso di integrazione senza che soggetti esterni incidessero sulle scelte.

Oggi cosa è cambiato?

Viviamo in un mondo del tutto diverso, la globalizzazione fa sì che l’Unione europea tutti i giorni debba fare i conti con quello che accade su una scala più grande. Ciò richiede un’Europa molto più forte, più coesa, più unita. Un soggetto che sia in grado di proporsi come tale e come tale sia riconosciuto dagli altri attori del mondo globale.

Cosa occorre fare per non rischiare che quelle parole restino l’ennesima, anche se autorevole, analisi che prosegue con il rafforzamento dello status quo?

Occorre accelerare decisioni su temi che sono già nell’agenda: l’unione bancaria; un nuovo patto di stabilità effettivamente un vettore di una più forte ed efficace politica economica e finanziaria di crescita; superare il voto all’unanimità; avviare prime misure di armonizzazione fiscale. Temi che bisogna avere il coraggio di affrontare e da lì iniziare un percorso che possa condurre anche alla ridefinizione dei Trattati.

Come le regolamentazioni potranno permettere di reagire più rapidamente agli shock nazionali?

L’avere delle regolamentazioni europee in realtà si è rivelato, nella maggioranza dei casi, un vantaggio; qualche volta evidentemente anche uno svantaggio, ma certamente sono più i benefici che i costi. Per questo è necessaria anche una verifica delle procedure di Bruxelles. La regolamentazione europea, per essere efficace, deve essere anche snella, rapida e comprensibile ai cittadini su cui ricadono gli effetti concreti. Affinché la regolamentazione sia efficace bisogna che i cittadini la comprendano e la condividano: questo è un passaggio che secondo me rimane aperto, ovvero il rapporto democratico tra cittadini e istituzioni europee. È un problema non risolto, perché le istituzioni europee sono distanti e, quindi, il grado di identificazione dei cittadini è assai meno immediato rispetto alle istituzioni nazionali.

L’occasione del rinnovo il prossimo anno dei vertici istituzionali europei potrebbe essere colta per procedere, parimenti, a queste fondamentali riforme?

Credo di sì. Ad esempio un tema che è stato evocato più volte è quello della unificazione della figura del presidente della Commissione con il presidente del Consiglio europeo, proprio per cercare di superare un assetto diarchico che spesso si è rivelato un problema. Così come va fatta una riflessione sulla composizione e la dimensione della Commissione, soprattutto in prospettiva di ulteriori allargamenti. Ricordo che nel Trattato di Amsterdam fu ipotizzata una Commissione di dodici membri, con la creazione di constituency di più Paesi per la nomina di un commissario, (come per il Fondo monetario) oppure con meccanismi a rotazione. Quella indicazione si è persa, ma credo che sia un altro tema da riprendere. Insomma, serve coraggio e determinazione per dare all’Europa più forza e la capacità di corrispondere più e meglio alle aspettative dei cittadini.

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