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Netanyahu spinge sulla giustizia. Per Israele si apre un tema sicurezza

Netanyahu ha ottenuto un primo risultato nel processo di modifica del sistema giudiziario di Israele. Ma a che costo? Per Giuseppe Dentice (Cesi) “non c’è mai stata una condizione di malessere così acuto e profondo nel Paese”

 

La gran parte dei quotidiani israeliani ha aperto oggi, martedì 25 luglio, con un foglio nero. Ieri la Knesset ha approvato una nuova legge molto controversa volta a limitare il potere della magistratura, la prima salva della revisione giudiziaria proposta dal primo ministro Binyamin Netanyahu. I giornali la indicano come una pagina nera, letteralmente, della democrazia israeliana, mentre il Paese è nel caos.

Il contesto

Negli ultimi anni, Netanyahu è stato associato a politiche sempre più di destra e ha formato una coalizione parlamentare che comprende alcuni degli esponenti più estremisti del conservatorismo israeliano, generando critiche significative per aver assecondato certi elementi radicali all’interno della sua coalizione. Lo scorso fine settimana, prima dell’approvazione della legge, molti settori professionali della società israeliana hanno protestato contro la legislazione, compresi militari regolari e riservisti.

L’approvazione di questa legge e le future riforme giudiziarie rischiano di far precipitare Israele in una crisi costituzionale e politica che porterà a una persistente instabilità e alla continuazione di proteste e manifestazioni in tutto il Paese. Una condizione deleteria per gli interessi esterni israeliani, delineata anche da un warning diffuso dall’autorevole Inss, centro studi e ricerca molto legato al mondo della sicurezza, basato a Tel Aviv.

L’allarme dell’Inss

L’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale (Inss) ha pubblicato quattro mesi fa un “allarme strategico”, il primo del suo genere per l’Inss, che descriveva nel dettaglio cosa sarebbe potuto accadere se gli sforzi di revisione giudiziaria fossero proseguiti e le proteste contro la revisione si fossero intensificate. “Purtroppo — scrivono gli esperti in una Press Relaese del 23 luglio — il nostro allarme si è in gran parte avverato e la [crisi per la] sicurezza nazionale di Israele è diventata una realtà, segnata dall’intenso sconvolgimento in corso nell’IDF (le forze armate, ndr), che mina le fondamenta dell’‘esercito del popolo’; dall’erosione della deterrenza di Israele nei confronti dei suoi nemici; dall’indebolimento delle relazioni speciali con gli Stati Uniti; dall’indebolimento dell’economia e, in particolare, dell’industria hi-tech; dall’approfondimento delle divisioni sociali e dall’indebolimento della resistenza nazionale nel suo complesso”.

È a rischio l’equazione di deterrenza regionale, per questo l’Inss chiede “con urgenza l’immediata cessazione della legislazione unilaterale ed esortiamo a perseguire i cambiamenti attraverso un ampio consenso”. Anche le agenzie di intelligence hanno sottolineato l’estremo rischio per la sicurezza del Paese, l’ex primo ministro Edu Olmert ha detto pubblicamente che Israele sta scivolando verso la guerra civile, fa notare Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI.

“Il clima che si respira è di alta tensione: il discorso di tenere la maggioranza e non andare al voto è giusto, ma a che prezzo? È un problema di identità per Israele, e la situazione sembra catastrofica. Non c’è mai stata una condizione di malessere così acuto e profondo nel Paese”, spiega a Formiche.net. Il rischio ulteriore è che questa situazione critica interna ricada su dossier di politica estera su cui Israele è attivo. Per esempio, le scelte del governo Netanyahu stanno già ricadendo nei rapporti con i Paesi arabi, con cui Israele aveva avviato un processo di normalizzazione. Ma anche in rapporti fondamentali come quello con gli Stati Uniti.

Alta tensione tra gli amici

Un ex ambasciatore americano in Israele, David Friedman ha parlato di tempismo disastroso dietro la scelta sulla riforma giudiziaria; altri, Dan Kurtzer e Martin Indyk, hanno ipotizzato che le intere relazioni tra Usa e Israele andrebbero riviste alludendo alla possibilità anche di interrompere la cooperazione militare con Israele perché rischia di essere una legittimazione dell’occupazione in Cisgioradiania — repliche incrociate, dure da Gerusalemme. Al presidente Isaac Herzog in visita a Washington pare gli sia stato chiesto di fare tutto il possibile per risolvere la situazione, perché si rischia la guerra civile.

“La reazione statunitense è indicativo del clima”, evidenzia Dentice, che fa notare come Washington potrebbe essere meno disponibile a continuare la storica relazione speciale di protezione nei confronti dello stato israeliano. E in un contesto come quello attuale, questo potrebbe significare che gli americani potrebbero essere meno aperti nel concedere spazi di cooperazione con la Cina a Israele — e quello con Pechino è un dossier importante per il governo Netanyahu.

Lo sguardo sui nemici 

“Ma i rischi riguardano anche gli svariati nemici israeliani, che potrebbero essere intenzionati a sfruttare la situazione per alterare ulteriormente la tensione. Ma c’è anche un quadro più sofisticato: a quegli stessi nemici una Israele così destabilizzata potrebbero non convenire troppo, perché potrebbe esserci il rischio che le tensioni interne di sfoghino su dossier esterni”.

L’Iran sta per sviluppare armi nucleari mentre distende le relazioni col mondo arabo sunnita, il gruppo politico/militare libanese Hezbollah (sostenuto dall’Iran) sembra intenzionato a tenere viva la guerra-mai-pacificata del 2006, nei Territori palestinesi i gruppi armati si stanno riorganizzando anche in termini di proseliti. Il quadro delle minacce esterne è ampio. Tante le occasioni per fare da sfogatoio cinetico della situazione.

La sicurezza e gli investimenti (non solo economici)

“Anche nel governo ci sono figure più equilibrate, come il ministro degli Esteri Eli Cohen, ex membro dell’intelligence, e quello della Difesa Yoav Gallant, che nonostante abbiano votato a favore della riforma per equilibri dell’esecutivo, continuano a sottolineare i problemi di sicurezza nazionale. Ma c’è anche la borsa di Tel Aviv che chiude in negativo da tenere d’occhio, perché iniziano le preoccupazioni che qualcuno possa valutare la questione sicurezza interna sui propri investimenti. Convivenza con insicurezza è un equilibrio in Israele, e ora si complica”, aggiunge Dentice. Subito dopo il sì alla riforma Netanyahu, Morgan Stanley ha tagliato il rating, mentre Moody’s si prepara a un pubblicare un report speciale nelle prossime ore (anche le banche si stanno muovendo per rivedere le proprie previsioni e le indicazioni per gli investitori).

Con il livello di sviluppo dell’ecosistema start up che è una delle caratteristiche pionieristiche del Paese, e con la possibilità che si trovi una forma di normalizzazione con l’Arabia Saudita, la gestione di futuri investimenti — economici come diplomatici — è uno dei temi fondamentali per il governo di Netanyahu. E su questo il peso dell’insicurezza politica — legata alle complessità interne alla coalizione di governo — rischia di abbinarsi a quella sociale e geopolitica con cui Israele deve convivere non solo per le minacce esistenziali storiche, ma anche per la destabilizzazione che le mosse del governo stanno producendo nel contesto politico, sociale, economico. Le manifestazioni vanno avanti da 29 settimane consecutive, e sono sempre più partecipate, diffuse e organizzate — tanto che la risposta delle autorità ha iniziato a farsi violenta.

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