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Kerry verso Pechino. Tra Usa e Cina molte parole e pochi fatti

L’inviato speciale per il Clima della Casa Bianca sarà in Cina per i prossimi giorni. Incontri di alto livello in mezzo un clima di disgelo generale da cui però non si attendono risultati travolgenti

L’inviato speciale della Casa Bianca per il Clima, John Kerry, arriva a Pechino sfruttando un trend di dialoghi e contatti tra alti funzionari statunitensi e cinesi avviato dal fragile disgelo tra Usa e Cina. Da oggi 16 luglio al 19, l’ex segretario di Stato dell’amministrazione Obama terrà incontri bilaterali con funzionari cinesi riguardo a un tema di (teorico) dialogo che il Partito/Stato ha congelato come rappresaglia per il viaggio a Taiwan dell’allora presidente della Camera Nancy Pelosi lo scorso agosto.

Molte parole e pochi fatti

Il leader supremo cinese, Xi Jinping, ha dichiarato a novembre 2022 che c’è un “reciproco interesse” di Stati Uniti e Cina nell’affrontare il cambiamento climatico. Ma l’incidente del pallone spia cinese di febbraio ha fatto deragliare per mesi i contatti significativi tra Kerry e il suo omologo cinese, Xie Zhenhua. Inoltre, va anche detto che in generale il clima di dialogo è più formale che pratico. Sia il segretario di Stato Antony Blinken che la collega al Tesoro Janet Yellen hanno recentemente fatto missioni in Cina, ma – sebbene siano stati ricevuti con attenzioni diverse, più fredde verso il primo e più aperte verso la leader del settore business americano – i risultati sono stati pochi.

Entrambi hanno avuto incontri multipli e approfonditi con alti funzionari cinesi (Blinken ha persino avuto un tu per tu con Xi), ma sono tornati a casa con luoghi comuni e promesse di ulteriori incontri, piuttosto che con progressi sui temi più scottanti che stanno facendo vacillare le relazioni bilaterali. Blinken si è scontrato con un muro di pietra nel chiedere a Pechino azioni concrete su questioni come l’ingiusta detenzione di americani in Cina, il ruolo delle aziende cinesi nel fornire i precursori chimici che alimentano l’epidemia di overdose di oppioidi negli Stati Uniti e il rifiuto di Pechino di ripristinare i contatti militari di alto livello sospesi anche quelli ad agosto scorso.

Kerry ha un vantaggio

In cima all’agenda di Kerry c’è una cooperazione sostanziale tra Stati Uniti e Cina volta ad “aumentare l’attuazione e l’ambizione e a promuovere il successo della COP28”, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Dubai fra quattro mesi. Pechino considera la visita di Kerry come un’opportunità per “un approfondito scambio di opinioni sulla cooperazione per affrontare i cambiamenti climatici”, ha dichiarato mercoledì il ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese. È piuttosto chiaro che senza una cooperazione tra le due potenze, la COP28 sarà un flop. Ma le distanze rimangono, così come sembrano poche le volontà reali di superarle.

Pechino sostiene di essere un modello globale per “un percorso di sviluppo verde e a basse emissioni di carbonio”. Ciò significa che Kerry potrebbe tornare a Washington la prossima settimana con l’impegno di Pechino a riattivare un gruppo di lavoro congiunto di alto livello tra Stati Uniti e Cina sulla cooperazione climatica, inattivo dalla scorsa estate. Sarebbe un progresso sostanziale se Kerry e Xie uscissero dai loro incontri dicendo: ‘Abbiamo concordato che il gruppo di lavoro si riunirà X volte da qui a Dubai’”, ha spiegato Joanna Lewis, professoressa associato alla Georgetown University ed esperta di politiche climatiche cinesi su “China Watch” di Politico.

Tuttavia le previsioni vanno viste al ribasso, se non altro nelle azioni concrete. Yellen ha per esempio espresso preoccupazione per le pratiche coercitive e scorrette cinesi sul mercato e ha anche alzato l’attenzione sul tema climatico. Tuttavia ha dato segnali di apertura: “Il presidente Biden e io non vediamo le relazioni tra Stati Uniti e Cina attraverso la cornice di un conflitto tra grandi potenze: crediamo che il mondo sia abbastanza grande perché entrambi i nostri Paesi possano prosperare”, ha dichiarato in una conferenza stampa a Pechino domenica scorsa. Ma la linea sulla Cina è anche segnata da posizioni interne alla politica americana non troppo ottimistiche e disponibili, per altro bipartisan.

Lo scoglio di Capitol Hill

La Sottocommissione per la supervisione e la responsabilità della Commissione Affari Esteri della Camera ha convocato giovedì 13 luglio un’audizione dal titolo “The State Department’s Climate Agenda: A Budget Overview by the Special Presidential Envoy for Climate”. È la sintesi degli scetticismi sulla Cina conditi in salsa climatica – tema su cui molti repubblicani hanno un approccio ideologico che nega il Global Warming e i suoi effetti. “Sono preoccupata che i negoziati [di Kerry] possano far crollare i valori e gli interessi americani e cedere ulteriormente la nostra leadership energetica e automobilistica alla Cina”, ha dichiarato Cathy McMorris Rodgers (repubblica dallo stato di Washington), presidente della Commissione per l’energia e il commercio della Camera.

Alcuni legislatori del GOP ritengono che Kerry stia perdendo tempo nel perseguire un’azione significativa sul clima da parte di un governo il cui crescente abbraccio a impianti di produzione di energia fortemente inquinanti mette in dubbio la sua retorica favorevole al clima. Kerry “non deve barattare la sicurezza nazionale e i valori degli Stati Uniti con vaghe promesse del PCC sul clima: la Cina è responsabile di oltre il 27% di tutte le emissioni globali, cioè più di quattro volte gli Stati Uniti”, ha dichiarato Michael McCaul, repubblicano texano e presidente della Commissione Affari Esteri della Camera. Questo è il clima che accompagna la missione di Kerry a Pechino.

Val la pena anche ricordare che in questo clima – da competizione presidenziale – rientra anche il subpoena (una sorta di ordine a comparire) emesso dallo stesso McCaul nei confronti di Blinken, a cui la Commissione chiede conto dei documenti relativi alla presunta “ostruzione del dipartimento di Stato all’uso degli strumenti di sicurezza nazionale”. Questi documenti includono “i calendari delle ‘azioni competitive’ del Dipartimento”, ha dichiarato McCaul. L’ordine di comparizione fa parte di un’indagine della Commissione Affari Esteri della Camera in merito a un articolo della Reuters pubblicato a maggio, secondo il quale lo State Department avrebbe “ritardato le sanzioni relative ai diritti umani, i controlli sulle esportazioni e altre azioni sensibili per cercare di limitare i danni alle relazioni tra Stati Uniti e Cina” in seguito all’incidente del pallone spia cinese di febbraio. Tutto per favorire il disgelo in corso, o almeno un clima più tiepido.


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