Sebbene Pechino parta in svantaggio, per via dei numerosi investimenti di Washington, il divario tra le due superpotenze si sta accorciando. Gli americani hanno dalla loro un sistema più aperto, ma nonostante le difficoltà le aziende cinesi stanno insidiando la loro leadership
Solo negli ultimi sei mesi, gli Stati Uniti hanno investito nello sviluppo tecnologico 23 miliardi di dollari, contro gli appena 4 miliardi spesi dalla Cina. Se si allargasse l’orizzonte agli ultimi tre anni, il divario è ancor più netto: 46,6 miliardi contro 15,8 miliardi nel 2020; 108,2 miliardi contro 29,3 nel 2021; 51,1 miliardi contro 14,7 nel 2022. Leggendo questi numeri, palesemente a favore degli americani, verrebbe da dire che nella competizione tecnologia ci sia già un vincitore tra Washington e Pechino. Non c’è partita né dubbio alcuno: gli americani hanno investito prima e meglio (cioè di più), mentre i cinesi hanno prima dovuto riorientare la loro economia e poi iniziare a correre. Il fatto è che, adesso, lo stanno facendo a tempi notevolmente più bassi rispetto al loro rivale d’eccellenza.
Quella dell’Intelligenza Artificiale è una maratona dove, si sa, bisogna calibrare bene le proprie energie per arrivare fino in fondo. Lo ha capito molto bene Xi Jinping, che nell’IA – ma più in generale nella tecnologia – ha individuato il cuore della competizione: chi arriverà per primo, avrà il dominio del mondo. È una considerazione enunciata da molti esperti, che sta spingendo verso la ricerca sfrenata dello strumento tech più rivoluzionario. ChatGpt, ad esempio, ha rappresentato un punto di svolta capace di condizionare la ricerca, che fa ruotare le novità attorno a questa pietra miliare (ancora da perfezionare).
E allora, anche la Cina vuole il suo fiore all’occhiello da potersi rivendicare. Per riuscirci, come raccontato da Bloomberg, sta attirando imprenditori miliardari, esperti che provengono da aziende straniere e ingegneri dall’alta competenza affinché spingano il più lontano possibile la macchina tecnologica che, quest’anno, dovrebbe essere finanziata con 15 miliardi di dollari. Una cifra che rispetto a quella sborsata al di là del Pacifico rappresenta ancora una frazione, ma comunque significativa. Per dirla con le parole di Wang Xiaochuan, magnate di Internet e fondatore del motore di ricerca numero due in Cina, Sogou, “la Cina è ancora indietro di tre anni rispetto agli Stati Uniti, ma potremmo non aver bisogno di tre anni per recuperare”.
Una testimonianza concreta delle volontà cinesi è il via vai di imprenditori che negli ultimi tempi hanno fatto visita alla terra del Dragone. I capi di aziende come Tesla, General Motors, Apple e JpMorgan sono stati accolti con tutti gli entusiasmi del caso, in una strategia molto chiara del governo centrale: mostrare ai cinesi che con la fine della politica Zero Covid il loro Paese vuole tornare a crescere e al mondo che le sue intenzioni non sono affatto cambiate.
La sfida è pertanto partita, non di certo da ora, e il gap tra le due superpotenze si sta riducendo a un ritmo piuttosto veloce. Se negli ultimi due anni gli accordi tech di venture capital cinesi ammontavano alla metà di quelli americani, ora siamo oltre i due terzi. Il motivo di un’accelerazione simile è dovuto, in parte, a una frenata imposta ai rivali. Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Snapchat, WhatsApp e via dicendo sono piattaforme vietate dal governo pechinese che, al contrario, incentiva l’utilizzo delle app nazionali. Molto probabilmente, un discorso simile verrà affrontato anche con ChatGpt di OpenAI e Bard di Google. Il che ha delle evidenti ripercussioni, visto che alle aziende a stelle e strisce viene tolto un mercato da 1,4 miliardi di persone. Non proprio una banalità.
Washington non rimane con le mani in mano. Specialmente da quando è arrivato Joe Biden alla Casa Bianca, l’America ha compreso quanto pesi la competizione tecnologia nella sfida con Pechino. Per questo, il governo statunitense ha optato per restringere le esportazioni tech verso la Cina o di sanzionare alcune delle sue aziende che portano avanti attività poco chiare o palesemente in contrasto con il rispetto dei diritti umani. È un fatto di principio, sommato alla convenienza che ne deriva.
Martedì scorso, a detta del Wall Street Journal, l’amministrazione Biden ha allungato la lista delle restrizioni dell’export di IA verso la Cina. Inoltre, a Washington starebbero ragionando su un ulteriore stretta sui chip entro la fine di luglio, che andrebbe a limitare la potenza di calcolo dei semiconduttori, inferendo un colpo notevole all’industria cinese. Ma anche a quella americana, come hanno sottolineato da Nvidia, l’azienda che più di tutte ha subito in termini di vendite i riflessi di queste decisioni governative. A lei si aggiungono Intel e Advanced Micro Devices (Amd), ugualmente interessate dalla competizione in atto. A esporsi è stato anche l’amministratore delegato ad interim della Yangtze Memory Technologies (Ymtc), Chen Nenxiang, che ha avvertito sui rischi che l’intero comparto dei semiconduttori sta correndo. D’altronde, il settore è uno dei più rilevanti sul palcoscenico e, quindi, quello su cui una potenza mondiale vuole avere il dominio del gioco.
Secondo alcune stime, il valore del mercato tecnologico da qui al prossimo decennio dovrebbe attestarsi sugli 800 miliardi di dollari. Ma è solo una cifra di partenza, sicuramente al ribasso viste le potenzialità che potrebbe esprimere questo settore al massimo delle sue funzioni. Molto, come detto, dipenderà dalla ricerca e dallo sviluppo, soprattutto nell’IA Generativa che ha aperto orizzonti potenzialmente sconfinati.
Per i programmatori cinesi ci sono però ostacoli più grandi rispetto agli omologhi americani, da legare non solo alle politiche di Washington. Sebbene siano stati in grado di produrre delle alternative ai prodotti statunitensi – basti pensare ai vari chatbot in risposta a ChatGpt, come Tongyi Qianwen di Alibaba – in Cina lo sviluppo viene comunque tenuto sotto controllo. La ricerca è sì incentivata, ma deve rispettare alcuni dettami che vengono imposti dall’alto e che quindi non permettono una piena realizzazione come quella che avviene Oltreoceano.
Questa situazione non impedisce alle start-up cinesi di provare a diventare dei giganti. Alcune ci sono riuscite, altre ci stanno provando. Baidu, iFlytek, Tencent, Alibaba, SenseTime Group ltd: la Cina sa che deve correre più veloce per accorciare la distanza con gli Stati Uniti. E, a modo suo, lo sta facendo.