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Più che allargamento serve una riunificazione europea. Parla Saccone

Conversazione con l’esponente centrista: “Afd e Le Pen? Incompatibili col centrodestra. I fatti di Parigi? Affievolire la propria cultura non ha giovato: se si è forti della propria identità ci si può integrare in modo completo e pacifico, se la si cancella emergono le contraddizioni francesi”

La riunificazione meloniana dell’Ue è la medicina che può sanare le contraddizioni delle istituzioni europee, a patto che si riparta dai valori cristiani e dalla centralità della persona. Lo dice a Formiche.net l’ex senatore dell’Udc, Antonio Saccone che, all’indomani della trasferta a Varsavia del presidente del Consiglio, analizza le traiettorie del pensiero conservatore incanalate in quella strategia che condurrà il centrodestra alle elezioni europee del 2024.

A Varsavia Giorgia Meloni ha parlato di riunificazione Ue, non di allargamento: non è club che dice chi entra e chi no, ha spiegato. Cosa ne pensa?

Non dimenticherei che la destra italiana, quella post seconda guerra mondiale, è sempre stata favorevole alla nascita dell’Unione europea: questo di per sé è un elemento che ha segnati anche gli anni un po’ più contraddittori della politica della destra italiana che, magari, poteva far pensare ad un’uscita dall’Unione Europea. Invece oggi con la Meloni al governo è chiaro che si vogliono rafforzare le istituzioni europee. Il tema della riunificazione è centrale e si fonda su cultura e sull’identità, cioè temi il più possibile allargati.

Quali le riforme da attuare in seno all’Ue?

Ancora troppi vulnus ci sono quando si dice che vogliamo un’Europa dei popoli, significa che il popolo europeo, sovrano, dovrebbe decidere concretamente sulle sorti dell’Unione europea mentre questo oggi è demandato ai Governi perché il popolo sovrano europeo non è interpellato. Sulla riunificazione dell’Unione europea concordo con il premier quando sottolinea che bisogna consolidare le istituzioni europee e i Paesi dell’Unione europea. Allargarlo tout court francamente non serve a molto e non ci porta lontano.

Come legare le nuove politiche ai temi contingenti, come il vertice di Vilnius, la guerra in Ucraina e i futuri equilibri della nuova Commissione?

A mio modo di vedere non si tratta di cambiare lo status quo, ma Giorgia Meloni sta provando a posizionare in modo più compatibile l’Unione europea nell’alveo suo naturale. A qualcuno questo può dar fastidio? Assolutamente sì. Infatti lei si scontrerà con coloro i quali vogliono mantenere quella vecchia forma della concezione Ue legata ad un consociativismo che purtroppo rischia di tenere immobili le istituzioni. Penso che invece l’Italia stia offrendo un suo contributo non per indebolire ma per rafforzare il ruolo dell’Unione europea. Ma non è tutto.

Ovvero?

Lo dico con molta chiarezza: l’Europa è un’organizzazione internazionale regionale distinta dalla Nato che è un’alleanza di difesa militare, per cui deve anche distinguersi all’interno della Nato assumendo un ruolo da protagonista. In caso contrario svolgerebbe un ruolo secondario. Quindi ritengo strategico questo dinamismo della politica estera italiana, avallata da una premier forte ed autorevole, da un Ministro degli Esteri che è garanzia di esperienza e di appoggi in Europa. Tutto ciò colloca l’Italia in primo piano nelle relazioni internazionali.

Il primo passo di questa svolta può essere individuato nel cosiddetto modello-Tunisi, con la visita strutturata di Von der Leyen, Meloni e Rutte?

La svolta è nel successo della politica estera di Giorgia Meloni nei confronti del Maghreb e in particolare della Tunisia, ovvero avere una finestra permanente sulle vicende delle migrazioni: significa aver cambiato paradigma europea su un tema che ha proporzioni globali. L’Europa fino ad oggi ha considerato il tema marginale, perché relegato ai confini dell’Unione. Mentre la questione dell’immigrazione, tramite un’iniziativa politica e di sensibilizzazione delle istituzioni europee, produce un cambio di paradigma.

I sondaggi parlano di un centrodestra in vantaggio verso le urne del 2024.

C’è un forte vento a sostegno del centrodestra in Europa e purtroppo le vicende francesi, lo dico con rammarico, testimoniano che un modello di integrazione che si sposa con l’affievolimento dell’identità culturale europea non giova a nessuno. Non è un computo nazionalistico, tantomeno di natura razzista, ci mancherebbe, ma è il desiderio di affermare con orgoglio la propria identità: di contro affievolire la propria cultura, attribuendogli un valore paritario, non ha giovato: se si è forti della propria identità ci si può integrare in modo completo e pacifico. Se la si cancella si attenua la propria identità ed emergono le contraddizioni francesi.

Quale il ruolo del Ppe?

Sarà centrale e il mio auspicio è che vi sia una maggioranza omogenea nelle istituzioni europee, ciò che è mancato nel recente passato anche grazie ad un falso politically correct. Ciò ha indebolito l’intero sistema, per cui avere un’Italia forte che rivendica con orgoglio la propria identità nel solco delle radici giudaico cristiane significa, semplicemente, consolidare le fondamenta dell’Unione europea. Mi auguro che un centrodestra compatto vinca le elezioni e cambi alcuni pezzetti di mentalità dell’Unione europea: al centro deve esserci la persona umana e le istituzioni devono essere al servizio della realizzazione dei bisogni della persona umana. In caso di una convergenza omogenea con un risultato elettorale il più largo possibile, si aprirebbero le porte anche ai liberali, ma non a Afd e Le Pen.



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