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Vi racconto l’approccio del governo Meloni alla crisi migratoria. Parla Checchia

Alla vigilia della Conferenza sulle migrazioni, conversazione con l’ambasciatore italiano: “Il fatto che la dimensione energetica legata al cambiamento climatico sia stata posta tra le grandi aree di cooperazione nel memorandum sottoscritto con la Tunisia dalla Commissione europea dimostra la rilevanza del tema”

Interrompere le partenze illegali spezzando il traffico di esseri umani nel Mediterraneo, elaborare un indirizzo finalmente d’insieme che sia programmatico e non legato alla contingenza dell’emergenza, offrendo all’esterno l’immagine di un esecutivo che ragiona pragmaticamente di concerto con i partner europei. La Conferenza sulle migrazioni che si apre a Roma offre un’altra occasione al governo Meloni per distendere la propria strategia legata a doppia mandata al Piano Mattei, come emerge dall’analisi che affida a Formiche.net Gabriele Checchia, già ambasciatore d’Italia presso l’Ocse, alla Nato, in Libano.

Dopo la conferenza di Trieste sui Balcani, quella sulla ricostruzione dell’Ucraina, ecco quella sulle migrazioni: il governo ha scelto sui temi internazionali lo strumento del dialogo e delle analisi a 360 gradi con tutti gli stakeholder attorno a un tavolo. Con quali obiettivi?

La mia sensazione è che questo governo punti a cercare la soluzione ai problemi attraverso una visione strategica, integrata e di lungo periodo che tenga conto di tutti gli attori di volta in volta interessati ai singoli dossier. Viviamo in un mondo nel quale le interconnessioni tra le varie aree di crisi si vanno facendo sempre più evidenti. Ne è prova, ad esempio, il richiamo anche nell’occasione delle conclusioni dell’ultimo vertice Nato a Vilnius, alla zona dell’Indo Pacifico, che non rientra ovviamente nel perimetro euroatlantico ma che di fatto è centrale. È innegabile che ormai le crisi in area mediterranea e quelle nell’area indo pacifica hanno degli impatti reciproci.

In quale misura?

Si pensi a quanto sta avvenendo in Ucraina a seguito dell’aggressione russa, compreso il mancato accordo sul grano che impatterà purtroppo su fronti già debolissimi come quelli nordafricani. È chiaro che le reazioni dell’Occidente sono monitorate con grande impegno dalla Cina, che ha le note mire su Taiwan. Ma tutto si tiene, come direbbero i francesi. Trovo dunque che sia felice la scelta del governo Meloni di adottare un approccio integrato e strategico nel senso migliore della parola alle crisi internazionali. Nulla si risolve da soli.

Da Roma che messaggio parte alla volta di Bruxelles e dell’Africa?

La Conferenza di Roma è legata alla sicurezza, al problema migratorio e anche alle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo. La frase che mi ha colpito è che una crisi europea come quella migratoria richiede una risposta europea, cioè nessuno Stato può da solo far fronte a sfide che hanno carattere globale e sistemico. Di questo mi sembra che il nostro governo, il nostro presidente del Consiglio e il nostro ministro degli Esteri siano ampiamente consapevoli e lo stanno provando con i fatti nonostante si dica che poi sono esecutivi di centrodestra quindi poco sensibili al dato del dialogo e della collaborazione con altri Stati sovrani.

Invece?

Sono esercizi da condurre nel rispetto della sovranità dei partner e degli altri alleati, ma questo non implica affatto che ci sia un rifiuto di dialogo. Il problema è vedere su che basi questo dialogo avviene e direi che il dialogo che il nostro governo sta impostando con la Tunisia e con l’Africa in generale è ispirato proprio a questo principio di rispetto della sovranità altrui, di un partenariato che non sia su basi egemoniche da parte europea o occidentali.

Perché il partenariato con la Tunisia, raggiunto domenica scorsa dopo la seconda visita del Team Europe, è da considerarsi un modello virtuoso per costruire nuove relazioni con i vicini del Nord Africa?

È da considerarsi un modello virtuoso, perché per la prima volta esiste un dialogo a così alto livello che coinvolge gli Stati più direttamente interessati della sponda meridionale dell’Unione europea, a cominciare dal nostro Paese ma anche con l’Olanda, un Paese nordico ma molto attento a queste dinamiche. Il tutto sotto l’ombrello della Commissione europea che “guida” tutti gli attori in commedia che si trovano intorno a un tavolo in posizione paritetica con i vertici tunisini. È un modello perché l’accordo prevede un sostegno finanziario dell’Unione europea e della Commissione alla Tunisia in settori chiave per contenere il fenomeno migratorio. Mi riferisco al controllo delle frontiere ma anche ad un sostegno macroeconomico importante, che potrà essere erogato solo dopo che sarà stato risolto il problema complesso del rapporto tra la Tunisia il Fondo monetario internazionale versante sul quale, a quanto io so, il nostro governo sta lavorando per facilitare un compromesso.

Quale l’intento strategico del governo?

La volontà del governo Meloni credo sia quello di dare una soluzione di lungo periodo a un problema enorme, che è quello delle crescenti pressioni migratorie dall’Africa subsahariana attraverso la Libia e la Tunisia che è diventato il principale Paese di flussi migratori: questo fa onore all’esecutivo perché sono soluzioni che dovrebbero salvare migliaia di vite umane se si riuscirà a stabilizzare l’Africa, evitando che ci siano i fattori di spinta all’emigrazione. Mi viene in mente la frase di un filosofo francese degli anni 30 del secolo scorso, che io stimo, che si chiama Alain, il quale diceva che “la politica è l’arte del possibile illuminata dall’ideale”. La stessa frase si può applicare alla diplomazia bene intesa quindi con la maiuscola, è anch’essa l’arte del possibile illuminata dall’ideale. L’ideale in questo caso è il salvare vite umane e consentire alle popolazioni africane, quelle più vulnerabili e a reddito più basso, di godere non solo del diritto di emigrare, ma come dice la presidente Meloni, del diritto a non emigrare, cioè di trovare nel proprio continente condizioni di vita dignitose per sé e per le proprie famiglie.

L’Africa è dentro il tema energetico, oltre che migratorio: come la connessione ideale tra questi due elementi sarà molto utile per politiche europee davvero efficaci?

Il fatto stesso che la dimensione energetica legata al cambiamento climatico sia stata posta tra le grandi aree di cooperazione nel memorandum sottoscritto con la Tunisia dalla Commissione europea, dimostra la rilevanza la rilevanza del tema. Ci sono tanti aspetti che possono essere messi in luce, dalla valorizzazione delle nuove tecnologie per produrre energia pulita al ricorso alle enormi risorse energetiche del Nord Africa a sostegno delle nostre economie, anche in un’ottica strategica.

Ovvero?

Mi riferisco alla sottrazione dell’Europa al ricatto energetico russo: la politica di affrancamento dal ricatto energetico russo era stata iniziata dal governo Draghi e la Presidente Meloni sta brillantemente proseguendo. Non a caso tra le visite a tutto campo che il nostro Presidente del Consiglio ha compiuto dal momento del suo insediamento, figurano in prima fila quelle in Algeria, Libia e Tunisia, ovviamente solo per citare alcuni Paesi del continente africano, rilevanti anche sotto il profilo energetico. Dobbiamo fare di una crisi un’opportunità e riscoprire dunque quel partenariato con il versante meridionale dell’Europa: sull’energia si giocherà il futuro delle nostre economie per gli anni a venire, di questo sono certo e mi pare che le premesse siano abbastanza incoraggianti.

Abbiamo ridotto sostanzialmente la dipendenza dal gas russo attraverso le accresciute forniture dall’Algeria…

C’è già un gasdotto tra la Tunisia e l’Italia e su tutto questo bisogna continuare a lavorare, senza dimenticare le enormi potenzialità energetiche offerte dal Mediterraneo orientale come il progetto East Med, anche se lì c’è un fattore che dovremo prima o poi gestire che si chiama Turchia e le sua resistenze a qualsiasi iniziativa che coinvolga Grecia e Cipro, paese che la Turchia non riconosce. Sono conscio che sia un problema molto difficile da risolvere, anche per via delle resistenze accumulate negli anni da parte turca circa qualsiasi soluzione di compromesso e basata sul dialogo. Ma di contro mi incoraggia questo ruolo meno ostativo che la Turchia, da qualche settimana a questa parte, sta svolgendo.

Le ultime elezioni stanno cambiando Erdogan?

Forse il Presidente si sente più forte di una volta e ha trovato espressione nel vertice Nato di Vilnius, ma anche su altri dossier con la rimozione del veto turco all’ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato. Per cui una Turchia meno ostativa e più collaborativa credo possa venirci incontro anche per affrontare, insieme con questo grande partner molto difficile ma ineludibile, alcune questioni energetiche, sempre nel rispetto del diritto internazionale. L’idea di fondo è di avere una collaborazione tra tutti i paesi della regione, ivi comprese, per l’appunto Grecia e Turchia. So che è difficile, ma non impossibile e questo ci dovrebbe consentire di accentuare anche il ruolo dell’Italia come snodo energetico tra il Mediterraneo orientale, l’Africa e il resto d’Europa. Noi abbiamo enormi carte da giocare che ci vengono fornite dalla nostra collocazione geografica nel cuore del Mediterraneo. Questa visione sistemica, di cui il nostro attuale esecutivo sta dando prova, è corroborata dagli apprezzamenti che ci giungono dai nostri partner europei ed atlantici. Il battesimo definitivo si celebrerà in occasione del prossimo G7 in Italia, quando vi sarà l’occasione di dare densità alle questioni del fronte sud contro i ricatti delle autocrazie. L’Italia in questo senso è davvero avanguardia.

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