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Vietnam e Bangladesh, la strategia italiana tra Mediterraneo e Indo Pacifico

La presidente del Consiglio ha in mente di lavorare sui temi più sensibili che accomunano Mediterraneo allargato e Indo Pacifico: sicurezza alimentare, climatica, energetica e difesa. Un valore aggiunto da mostrare a Washington e sottolineato negli incontro con i leader di Bangladesh e Vietnam

Approfittando del vertice alla Fao, agenzia per l’alimentazione delle Nazioni Unite con sede a Roma, il governo italiano ha potuto rafforzare alcune le relazioni con Paesi sensibili alla grande tematica del momento, la food security, la quale a sua volta si incastra con altri temi cogenti, come il cambiamento climatico e la sicurezza economica ed energetica. L’insieme dei canali con cui l’Italia proietta la sua azione politica estera su territori complessi come quelli del Global South – sia esso all’interno del quadrante di appartenenza, il Mediterraneo allargato, che in quello di proiezione indo-pacifico.

È in quest’ottica che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ospitato il presidente vietnamita, Vo Van Thuong, e la prima ministra bengalese, Sheikh Hasina. Due faccia a faccia che per la premier sono serviti per un confronto diretto con due Paesi destinati a crescere e svilupparsi, e dunque occupare nel medio-lungo termine il proprio spazio autonomo nelle dinamiche internazionali. Prendere per esempio il Vietnam, che recentemente ha ospitato la segretaria al Tesoro statunitense, Janet Yellen, mostrando tra le altre cose i propri progressi tecnologici sul campo dei veicoli elettrici.

Nei giorni scorsi, Hanoi ha annunciato il progetto di aumentare la produzione di terre rare a 2,02 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030, attraverso l’aumento dei processi di estrazione dalle miniere nelle province settentrionali e allo sviluppo di nuovi siti. L’obiettivo dichiarato del piano è lo sviluppo di un’industria sincronizzata e sostenibile di estrazione e lavorazione di terre rare, di cui il Vietnam ha le seconde riserve mondiali, dopo la Cina, secondo lo United States Geological Survey (USGS). 

Al centro dei colloqui Meloni-Thuong, coincidenti con il 50esimo anniversario delle relazioni diplomatiche fra i due Paese e con il decennale della partnership strategica, c’è stato il “rilancio dell’intensa collaborazione in atto sui fronti economico-commerciale, energetico, culturale, scientifico e di sicurezza”, come dice la formula di rito di Palazzo Chigi. Più concretamente, i due leader hanno parlato del contesto internazionale, con particolare attenzione all’impatto globale della guerra russa in Ucraina anche nell’Indo Pacifico, in particolare in termini di stabilità e di sicurezza alimentare ed energetica. E hanno aperto la strada per ulteriori cooperazioni di carattere securitario generale. Da non dimenticare gli scambi su questo fronte mosso dal driver della difesa, che potrebbero migliorare con l’aumento delle attività italiane nella regione (tra l’altro dal 9 al 12 maggio Nave Morosini, il pattugliatore d’altura impegnato nella “Operazione Indo Pacifico”, ha fatto naval diplomacy anche a Ho Chi Minh, accolta dall’ambasciatore in Vietnam Antonio Alessandro).

Altrettanto importante è la collaborazione con il Bangladesh – Paese per altro che vive una stagione complessità, con proteste diffuse da parte delle opposizioni e richiami internazionali contro l’uso della forza delle autorità. Il Bangladesh è un Paese con una popolazione quasi tripla a quella italiana concentrata in un territorio esteso la metà, con l’Italia che è il settimo mercato di destinazione dell’export (prodotti del settore abbigliamento sono in cima alle categorie merceologiche dell’importazione italiana). Ma è anche un Paese che preoccupa in qualche modo il governo Meloni perché nonostante il Pil di Dacca sia cresciuto in media del 7% negli ultimi cinque anni, l’8% dei migranti in entrata in Italia partono dal Bangladesh. Il fattore demografico, le contrazioni delle libertà e le difficoltà nell’accesso al cibo, complicato anche dall’impatto che il cambiamento climatico ha avuto sull’agricoltura e dalle dinamiche prodotte dalla guerra russa (e mosse conseguenti), è tra le principali cause di migrazione.

Il Bangladesh è il settimo Paese più vulnerabile al clima nel mondo secondo il Climate Vulnerability Index, e secondo la Banca Mondiale il Vietnam è tra i Paesi che potrebbero andare incontro a “significative impatti economici e sociali legati al clima”. Si tratta di sensibilità che il governo italiano ha fatto proprie (nonostante all’interno della maggioranza parlamentare ci siano posizioni critiche sul valore dei cambiamenti climatici), pianificando di includerle nei piani strategici che passano dalla sicurezza energetica a quella alimentare. Meloni sta sviluppando una visione ampia del contesto, che sebbene passi dal quadro migratorio – anche per ragioni dirette di consenso politico – pare interessata a comprendere temi profondi che in qualche modo accomunano i Paesi più complessi del quadrante mediterraneo e indo-pacifico. Un valore aggiunto da presentare durante la visita di questi giorni a Washington.



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