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La realtà è più importante dell’idea. La missione per i profughi siriani di Mourad

In questi giorni in Italia, padre Jacques Mourad, il cofondatore con Paolo Dall’Oglio della Comunità di Deir Mar Musal, odierno arcivescovo di Homs, sequestrato dall’Isis fino alla sua rocambolesca fuga, ragiona sulla Siria in maniera stupefacente perché non assolve nessuno dalle colpe evidenti per lo stato in cui vivono i siriani, in patria e molto spesso in esilio. Ma non è la condanna per questo o quello che oggi lo interessa… La riflessione di Riccardo Cristiano

È molto difficile dare conto di una serata trascorsa con padre Jacques Mourad, il cofondatore con Paolo Dall’Oglio della Comunità di Deir Mar Musa, il prete sequestrato dall’Isis fino alla sua rocambolesca fuga, l’odierno arcivescovo di Homs da quattro mesi.

Il suo ragionamento sulla Siria è stupefacente perché non assolve nessuno dalle colpe evidenti per lo stato in cui vivono i siriani, in patria e molto spesso in esilio. Ma non è la condanna per questo o quello che oggi lo interessa. Questo lo trova, a mio avviso, una forma di narcisismo da parte nostra. Serve ancora strillare, sembra domandarsi dietro le pieghe di tanti racconti sui vecchi e i nuovi guasti che tormentano i siriani abbandonati da tutti. I guasti siriani li ha denunciati per oltre un decennio, e li ha conosciuti da quando è nato.

L’incontro con il gesuita Dall’Oglio ha cambiato la vita di questo eroe umile e trascurato da tanti. È tra i pochi sopravvissuti all’Isis dal 2015, ma vescovo c’è diventato da poco. Anche nella Chiesa alcuni non sembrano corrergli dietro per ritrovare credibilità dopo anni in cui tanti hanno taciuto. Eppure lui appare ancora schivo, restio a parlare di sé e del suo passato non tanto lontano. L’Isis apprezzò la sua scelta di impedire l‘impiego di armi quando occupò i territori in cui Mourad operava. Per questo lo autorizzò, in cambio di orribili limitazioni, a tornare tra i suoi. Ma lui poi fece fuggire tutti dalle bombe che cadevano copiose da giorni e giorni. Lo racconta nel suo libro e mi sono chiesto da sempre chi bombardasse. La risposta non è difficile, ma non serve chiedergli se si è capito bene, piuttosto è importante capire perché tanti fingano di non capire.

Ma oggi è un’altra storia. Assad ha vinto, la Siria è una provincia russa (per gentile vendita sotto costo, eccetto qualcosa ceduta all’Iran) e muore sotto il peso di tonnellate di droga sintetica, il captagon, stupefacente home made. Anche su questo non serve chiedere né conferme delle donazioni né da chi sia prodotta la droga, visto che è noto che la produca direttamente il regime. Il problema è come fermarla questa produzione. Piuttosto che vivere in Siria, par di poter immaginare sentendo i paesaggi che descrive, i giovani preferiscono cominciare a morire così. Lo stesso può dirsi per i siriani deportati in Turchia, Libano, Giordania. Piuttosto che morire tornando in Siria preferiscono fingere di essere vivi dove il regime li ha fatti scappare. Ma anche qui a Jacques Mourad più che ribadire chi ha fatto cosa ieri, interessa capire chi sia disposto a fare qualcosa per avvicinare un domani diverso. Si può continuare a condannare gli uni e gli altri ad avere come unico possibile sogno la vita da boat people?

Se i profughi non potranno rientrare in sicurezza, se nessuno li ama, cosa sarà di loro? E chi potrà rifare una realtà da vita decente in Siria?

La realtà è quella che è: occorre vederla per sperare domani di poterla cambiare e avere una Siria diversa. Negare la realtà, cioè negare che Assad sia ancora lí, fatto da parte di chi siriano non è diventa un’impresa di desiderio narcisista che non dà nulla di nuovo e di vero, purtroppo.

Cosi oggi Jacques Mourad sembra non temere i lupi, come non li ha temuti ieri, essendo alla ricerca di interlocutori per avviare un percorso che permetta ai profughi di rientrare in vera sicurezza, come è indispensabile. Sarebbe la base per cercare un cammino non facile, di certo non sufficiente, ma pur sempre un punto di ripartenza. Ma esistono questi interlocutori in buona fede? Li troverà?

Padre Jacques parla, ricorda, immagina, non si rassegna.Troverà certamente che la rassegnazione è peggiore del peggior realismo senza passione, speranza, visione. Non si può che temere che sia solo, come è troppo comodo dire che sia naturale. La sua solitudine però appare possibile perché da una parte lo isola l’intransigenza di un regime che non vuole aprire le porte della Siria ai siriani, e dall’altra il pragmatismo di chi glielo chiederebbe senza mai realmente preoccuparsi della loro sicurezza, ma solo dei suoi interessi.

Seguendo i pensieri e gli sguardi di padre Jacques Mourad mi è parso di vedere che lui davvero non tema la solitudine, piuttosto l’eterno narcisismo di un Occidente fermo nella difesa di valori fino al momento in cui il prezzo lo pagano altri. Qui allora si entra, conversando con lui, non nella nostra realtà ma nella nostra rappresentazione della realtà. Li vorremmo aiutare a rientrare in assoluta sicurezza con la stessa determinazione con cui abbiamo pagato Erdogan perché li fermasse in Turchia? O questa determinazione a garantirne un rientro davvero sicuro come saremmo disposti a dimostrarla? Mourad non può pensare oggi alle nostre manchevolezze di ieri. Davanti al cimitero Mediterraneo dovremmo farlo noi, senza dirci (troppe) bugie.

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