Dietro la calma apparente a Mosca si trattiene il fiato in una surreale atmosfera di en attendant après Putin. Oltre al bilancio del vertice della Nato a Vilnius e la svolta della controffensiva, allarma il voltafaccia di Erdogan che incrina anche i rapporti fra Russia e Cina. L’analisi di Gianfranco D’Anna
Bruciano. Le notizie che rimbalzano dal fronte bruciano al Cremlino più dei resoconti del vertice della Nato a Vilnius e i retroscena del voltafaccia di Erdogan.
Da Cherson a Donetsk, a Bakhmut gli scenari della controffensiva ucraina stanno rapidamente cambiando in peggio. L’arrivo delle bombe a grappolo in grado di neutralizzare l’argine del dedalo di campi minati e l’efficacia dei missili di precisione a lunga gittata francesi e inglesi, ai quali si stanno sommando anche i dispositivi missilistici tattici Atacms americani, spiazza l’armata d’invasione russa da mesi costretta sulla difensiva.
Ad aggravare la situazione militare, sempre più critica per Mosca, si inserisce il venir meno delle indubbie capacità belliche dei mercenari della compagnia Wagner e le crepe che si susseguono ai vertici dei comandi. Crepe provocate dalla brusca sostituzione dei generali più esperti, considerati vicini al leader mercenario, Yevgeny Prigozhin. Come Sergei Surovikin definito dalle fonti ufficiali con un termine sinistro “a riposo” o come il comandante di un’unità d’elite, il Generale Aleksandr Popov, rimosso per le proteste contro il mancato supporto alle truppe. In pratica le stesse rimostranze mosse da Prigozhin al ministero della difesa russo.
Molti gli interrogativi anche sulla mancata diffusione di immagini dell’incontro che si sarebbe svolto qualche settimana addietro al Cremlino fra Putin e Prigozhin, del quale si sono perse le tracce.
Oltre ai bollettini di guerra che delineano un progressivo ripiegamento, per il Presidente russo il contesto internazionale é paragonabile ad un vicolo cieco. Se nelle intenzioni, l’intervista televisiva di Putin voleva rappresentare una replica alla perentoria affermazione che Mosca avesse già perso la guerra, pronunciata dal Presidente americano Joe Biden a Vilnius, cioè alla frontiera con la Russia, l’iniziativa si è rivelata un boomerang mediatico perché invece di smentire e rilanciare una “versione” opposta si é limitata alle generiche minacce antioccidentali, tacendo per di più sul clamoroso ribaltone del presidente turco sempre annoverato come un fedele alleato.
“La Turchia sta gradualmente e costantemente continuando a trasformarsi da paese neutrale a nazione ostile”, ha affermato sul Washington Post Viktor Bondarev, presidente della Commissione per la difesa e la sicurezza nel Consiglio della Federazione Russa. Mentre l’analista ed ex consigliere del Cremlino Sergei Markov si é affannato a sostenere che la decisione di Istanbul di consegnare i leader della Brigata Azov a Zelensky “ha provocato ondate di shock in Russia”, perché Mosca considera la brigata “un simbolo del neonazismo ucraino e dei crimini di guerra contro la popolazione russa”.
Poco più che propaganda, insomma, rispetto alle conseguenze della repentina decisione di Erdogan di rimuovere il veto per l’entrata della Svezia nella Nato. Un allargamento a Stoccolma che, con la Finlandia, scopre il fronte nord orientale della Russia. Dietrofront o tradimento, quella di Erdogan viene unanimemente considerata una autentica pugnalata alle spalle di Putin. Ce n’é abbastanza per lasciare intuire il moltiplicarsi degli interrogativi sulle prospettive della Russia e sul loro futuro che si pongono gli ambienti moscoviti dei siloviki, i vertici degli apparati economici, istituzionali e dell’intelligence.
Se non altro perché, oltre alla catastrofe dei circa 200 mila fra morti e feriti, alla distruzione delle forze armate e al deragliamento dell’economia, il fallimento più clamoroso dell’errore dell’invasione dell’Ucraina é rappresentato dalla quasi totale sovrapponibilità tra Alleanza Atlantica e Unione Europea. Oggi, con 23 Paesi su 27 che appartengono a entrambe le organizzazioni, il 96,5% dei cittadini della Ue è protetto dalla Nato.
Un risultato che allarma soprattutto la Cina, che si ritrova a fronteggiare un’Europa compatta e pregiudizialmente ostile, molto diversa dal continente diviso e permeabile di prima dell’invasione dell’Ucraina.
Fra vodka e golubtsy, i tradizionali involtini di cavolo, a Mosca nessuno si azzarda a parlarne, ma è evidente che una eventuale sindrome cinese sarebbe molto più dirompente dell’infedeltà di Erdogan.
Militari, oligarchi, politici? Chi si muoverà per primo contro Putin e con quale esito? si chiedono dietro le quinte gli analisti di tutto il mondo. In spagnolo aspettare si dice “esperar”, perché in fondo aspettare é soprattutto sperare.