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Il Niger simbolo del Sahel dilaniato. Conversazione con Hanau Santini (L’Orientale)

Per Ruth Hanau Santini, docente di Relazioni internazionali all’Università di Napoli L’Orientale, la situazione economica e securitaria del Niger, seppure complessa, non giustifica la narrazione attorno al golpe, legato a questioni di potere interno. Tuttavia la crisi a Niamey si aggiunge al contesto totalmente destabilizzato del Sahel, dove il modello occidentale perde grip

La successione che nel 2021 ha portato al potere Mohamed Bazoum è stata la prima democratica per il Niger dopo l’indipendenza dalla Francia. Il Paese tra il 1974 e il 2010 ha subìto quattro colpi di stato. Bazoum, attualmente destituito dal capo delle Guardie presidenziali Abdourahamane Tchiani, aveva vinto le elezioni nel febbraio 2021 con il 56% dei consensi. Un voto svoltosi in maniera libera e regolare, dopo la fine del secondo mandato presidenziale (e ultimo possibile, costituzionalmente) di Mohamadou Issoufou. Questo percorso democratico si è interrotto tre giorni fa: frontiere chiuse, costituzione sospesa, coprifuoco, controllo totale dei media, governo militare di transizione. 

Tchiani è considerato molto vicino all’ex presidente, che però ha negato qualsiasi tipo di coinvolgimento nel golpe (d’altronde per ora non avrebbe interesse a esporsi). Il generale 64enne si è messo alla guida della destituzione di Bazoum accusando il presidente di non aver preso iniziative per fronteggiare la crisi economica e “il deterioramento della situazione della sicurezza” nel Paese — che come tutto il Sahel è segnato dalle attività di gruppi militari anche collegati alle istanze jihadiste. C’è un’ideologia militare secondo cui i civili non sono capaci a gestire certe problematiche, c’è una serie di interessi personali per non perdere aliquote di potere.

Economia e insicurezza

L’attuale colpo di stato è stato giustificato da una narrazione basata sul peggioramento della situazione securitaria, economica e della governance, ma Ruth Hanau Santini, docente di Relazioni internazionali all’Università di Napoli L’Orientale, spiega a Formiche.net come nei fatti la situazione nigerina sia diversa da quella propagandata fai golpisti. “In termini economici, sotto i governi civili, da Issoufou a Bazoum, il Pil pro capite in Niger è aumentato del 26%, dopo decenni di declino; e più di recente la Banca mondiale ha predetto una crescita del prodotto interno lordo del 7% nel 2023 e del 12,5% nel 2024. Il governo è anche riuscito a mantenere l’inflazione al 4%, anche dopo lo scoppio della guerra russa in Ucraina, la più bassa in Africa occidentale, e l’indice di sviluppo umano è continuato a migliorare nell’ultimo decennio. In termini di sicurezza, è vero che nel 2023 si è assistito a un peggioramento nel numero di eventi violenti nel paese, ma ciò nonostante il numero di vittime civili è diminuito del 53% nel 2023 rispetto all’anno precedente. I dati di Acled (Armed Conflict Location & Event Data Project, ndr) dimostrano infatti che la violenza contro i civili era aumentata tra il secondo e il terzo trimestre del 2022, per poi calare in maniera continuativa e significativa nel corso della fine del 2022 e durante la prima metà del 2023”.

Se quindi né ragioni securitarie né di governance economica spiegano il golpe, dove sono da cercarsi le ragioni che hanno spinto da un lato la Guardia nazionale a prendere l’iniziativa e dall’altro l’esercito a non opporsi con l’uso della forza alla Guardia? “I più sembrano propendere per il ruolo della vicenda personale del capo della Guardia nazionale. Bazoum lo aveva ereditato da Issoufou, al quale sarebbe ancora vicinissimo, e stava tentando di marginalizzarlo, se non addirittura licenziare. Bazoum invece si è progressivamente allontanato da Issoufou, soprattutto nella lotta alla corruzione, in particolare nel comparto della Difesa”, risponde Hanau Santini.

Nel suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scorso settembre, Bazoum aveva in qualche modo delineato la scena. Parlava di “fortificare le istituzioni democratiche”. Il suo Paese, inserito in un contesto impoverito e martoriato anche dalle vicissitudini del cambiamento climatico, era al centro di una crisi di sicurezza che trascendeva i suoi confini. A nord-est del Niger, il fragile e frammentato caos della Libia era diventato una “piattaforma per il crimine organizzato transnazionale” e un focolaio di traffico illecito di armi, droga e migranti. A Est e a Ovest, Paesi senza stabilità istituzionale. A Sud, la fascia confinante con la Nigeria è infestata da gruppi radicali islamici in competizione intra-jihadista. Secondo Bazoum, il Niger è circondato da un fronte di “insicurezza strutturale” e di militanza islamica che proliferava in tutto il Sahel — la vasta fascia semiarida dell’Africa che si trova sotto il deserto del Sahara, in cui il Niger è al centro.

“Ecosistema della violenza”, lo definiva Bazoum, che si è metastatizzato a ovest, in Mali, dove l’incapacità di affrontare le crescenti insurrezioni, compreso uno sforzo di mantenimento della pace guidato dalla Francia durato anni, ha alimentato il malcontento popolare e ha portato alla presa del potere da parte di giunte militari. Un putsch simile ha seguito l’esempio del vicino Burkina Faso. Ma il Niger, pur non essendo nuovo a disordini e insurrezioni, aveva per ora evitato questo destino. Niamey era un esempio di come la democrazia può reggere davanti a crisi sistemiche (climatica, alimentare, economica regionale) e securitarie. Anche perché il Niger era diventato il fulcro delle attività occidentali nel Sahel.

Preoccupazioni occidentali

Non è un caso se Parigi e Washington sono intervenute con pressioni per ristabilire l’ordine. Il Niger ha un valore strategico pratico e narrativo. Emmanuel Macron ha già condannato “con la massima fermezza” il colpo di Stato nel Paese alleato dell’Occidente, che è il quarto produttore di uranio al mondo e fornitore francese. La Francia ha 1.500 soldati in Niger, usato come territorio di ri-dispiegamento del contingente impegnato nelle fallimentari missioni di sicurezza regionali. Macron ha potuto comunicare con Bazoum, prigioniero nella sua residenza, e assicurarsi delle condizioni di salute del leader nigerino. Il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ricordando “l’incrollabile sostegno degli Stati Uniti” a Bazoum, ha ricordato agli autori del golpe che stanno minando il successo di una cooperazione che va avanti da anni e che stanno mettendo a rischio “centinaia di milioni di dollari di aiuti” statunitensi.

Il Niger è il centro operativo della lotta ai gruppi jihadisti saheliani, affiliati in parte ad al Qaeda e in parte alla predicazione baghdadista dello Stato islamico. Se è vero che il Sahel è la “vera frontiera dell’Europa”, come spiegava la diplomatica italiana Emanuela Del Re in un’intervista esclusiva concessa già due anni fa a Formiche.net appena nominata a Rappresentante speciale Ue per la regione, il valore di certe operazioni è evidente. Ma è altrettanto evidente che il Sahel diventa una frontiera anche narrativa all’interno dello scontro tra modelli di goverance dell’ordine internazionale che si è innescato ta Democrazie e Autoritarismi.

Non a caso, uno dei simboli del modello autoritario proposto dalla Russia, Yvgeny Prigozhin, l’oligarca della sicurezza privata russa che poche settimane fa ha sfidato il potere putiniano, ha colto subito il valore del momento. All’appello di sostegno internazionale diffuso da Tchiani, Prigozhin ha subito risposto. “Migliaia di combattenti di Wagner (la sua società militare privata, ndr) sono in grado di riportare l’ordine e distruggere i terroristi e non permettere loro di danneggiare le popolazioni locali di questi stati”, ha detto in un messaggio vocale su Telegram in cui si è detto compiaciuto della situazione in Niger. Anche se non c’è ancora nessun indicatore certo per un ruolo russo nella deposizione di Bazoum, come ha sottolineato lo State Department americano, il caos presenta un’opportunità per il Cremlino in un contesto regionale dove il ruolo di Mosca come fornitore di sicurezza è centrale (e la Russia ottiene contraccambi soprattutto nel settore delle materie prime). Qualcosa di simile era successo in Mali nel 2021, quando la Russia sfruttò gli spazi fra i nuovi reggenti a Bamako e il governo francese per diventare un partner stabile del Paese.

Il modello occidentale e il Sahel

Tra chi è sceso in strada a sostegno di Tchiani, alcuni portavano bandiere russe e messaggi pro-Putin, nonché insulti alla Francia e slogan contro le basi straniere (occidentali) nel Paese: qualcosa di simile a ciò che si è visto in passato in Mali, Burkina Faso, Sudan. Mentre il modello occidentale sembra perdere grip anche tra la popolazione, che scenari aspettarci? “In termini di scenari, fermo restando che l’esercito non si frammenti tra i pro e i contro golpisti, il che aprirebbe a situazioni di rischio violenza molto elevata, possiamo aspettarci che aumenti l’instabilità nel periodo in cui resteranno al potere i militari, almeno nel breve termine. Per la giunta al potere, conseguenze da parte di organizzazioni regionali come Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, ndr), che hanno già condannato il colpo di stato, è improbabile che si che adottino sanzioni come fu il caso contro il Mali nel 2020, essendoci ormai tre paesi del Sahel governati da militari”, risponde Hanau Santini.

Il presidente del Benin, Patrice Talon, inviato da Ecowas a Niamey, cercherà di concordare una roadmap, cercando con ogni probabilità il ritorno a elezioni entro due anni, se non si riuscirà a risolvere la situazione nell’immediato. Per l’Ecowas, che prometteva di lottare contro altre destabilizzazioni nel Sahel , quanto accade è anche una complessa prova di maturità. “In termini di cooperazione militare, è probabile, anche stante il crescente sentimento anti-francese registrato nell’ultimo anno, fomentato da vere e proprie campagne di disinformazione di matrice russa, che la presenza francese diventi il capro espiatorio da parte dei militari e che venga chiesto un ridimensionamento o un ritiro delle forze francesi che da Mali e Burkina avevano ripiegato a Niamey”, aggiunge la docente dell’Orientale. “Washington teme scenari di instabilità e minore cooperazione per gli oltre 1000 militari americani dispiegati nel Paese e interromperà molto probabilmente aiuti economici come prima ritorsione post-golpe (a marzo erano stati promessi 150 milioni di dollari di assistenza diretta), così come resta in forse la continuazione dell’operazione triennale di training militare europea lanciata a inizio 2023 per 27 milioni di euro”.

La retorica sulla resilienza pro-democratica con cui Bazoum raccontava la sua presidenza è stata accolta positivamente dagli alleati occidentali del Niger, soprattutto Francia e Stati Uniti. Al vertice Usa-Africa tenutosi a Washington lo scorso dicembre, Bazoum aveva avuto un posto d’onore, seduto accanto al presidente Biden durante un incontro con i leader del continente. Quando i filorussi all’interno dell’esercito maliano si sono rivoltati con rabbia contro Parigi, la Francia ha ritirato le sue forze di pace e le ha spostate nel più amichevole Niger, che ospita anche uno squadrone di droni statunitensi e un distaccamento di forze speciali americane. Anche l’Italia ha 300 militari in Niger, presenti dal 2018 con la Misin, e successivamente come parte della forza di pronto intervento aereo Task Group Air Sahel, oltre che a essere impegnata nella costruzione del Centro di competenza di medicina aeronautica del Niger (Cemedan). In occasione di una visita a Niamey a marzo, il segretario di Blinken ha detto: “Il Niger è una giovane democrazia in una zona difficile del mondo, ma rimane fedele ai valori che condividiamo. Il Niger è stato rapido nel difendere i valori democratici minacciati nei Paesi vicini”. Ma nel Sahel le cose cambiano in fretta.



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