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No. Il caos in Francia non è colpa nostra

In preda a un senso di colpa in servizio permanente ed effettivo, c’è chi in Europa sostiene che le rivolte francesi sono figlie di una cattiva integrazione da parte degli europei. Il poliziotto che ha sparato farà i conti con la giustizia. Ma lo stesso deve accadere per tutti quelli che spaccano vetrine e rubano nei negozi in queste ore, perché sono innanzitutto teppisti e non indomiti combattenti per la libertà

No, non è colpa nostra.
Comprendo l’esistenza della tesi opposta, quella secondo cui i tumulti francesi dopo la morte del giovane a Nanterre sono anche figli di una inclusione lacunosa per difetto dell’Europa.
È una tesi cara a buona parte del mondo politico ed istituzionale (anche in Italia) ed è assai diffusa nel mondo cattolico, figlia forse di un senso di colpa in servizio permanente ed effettivo.
Però credo sinceramente che questa tesi non faccia giustizia della verità.

Se ne fanno portavoce in molti, come, ad esempio, Concita De Gregorio oggi su Repubblica, che vale la pena citare testualmente: “Abbiamo un sistema di controlli e un sentire comune che esclude categoricamente che ci possano essere abusi di potere da parte della polizia? Abbiamo una cultura che ha eliminato ogni pregiudizio verso le minoranze? Abbiamo generato condizioni di vita che garantiscano l’integrazione delle prime ma ormai delle seconde e terze generazioni? Abbiamo dato loro cittadinanza?”.
Ebbene io credo fermamente nel fatto che il meglio è nemico mortale del bene.

E quindi dire che avremmo potuto fare di più significa non vedere lo sforzo compiuto verso milioni e milioni di donne e uomini, di cui l’Europa ha imparato a conoscere usanze religiose, convinzioni politiche, legami familiari, abitudini alimentari.
Guardando all’Italia possiamo osservare con orgoglio allo sforzo delle piccola borghesia commerciale ed industriale del nord come di quella più agricola del sud: oggi le nostre città (piccole e grandi) sono un crogiolo di etnie, solo chi non vuol vedere può negarlo.
L’abbiamo fatto per puro spirito di solidarietà?
Certo che no, ma è decisamente meglio così.

Infatti l’interesse della fabbrica veneta o del cantiere lombardo, come quello dell’azienda agricola campana o pugliese o della famiglia con anziani a carico è sempre lo stesso: trovare un aiuto concreto che, visto dall’altra parte, quella di chi lavora, spesso è sinonimo di nuova vita per sé e per i propri cari.
Tutto questo si è svolto in perfetta armonia?
Solo un cretino potrebbe affermarlo.
Ma è successo, accidenti se è successo.

E continua a succedere tutti i giorni, a Monfalcone come a Parigi, a Barcellona come a Monaco di Baviera.
In particolare così va anche in Francia, come riconosce l’ex Primo Ministro francese Manuel Valls (socialista) nell’intervista di oggi al Corriere: “Nanterre non è una città povera. Il lavoro c’è in tutta l’Ile de France. Ci sono mediateche in quei quartieri, centri commerciali, scuole, commissariati, locali pubblici”.
Allora noi dobbiamo dirci le cose con una certa chiarezza.
Il poliziotto che ha sparato farà i conti con la giustizia, che saprà accertare i fatti e le responsabilità.
Ma lo stesso deve accadere per tutti quelli che spaccano vetrine e rubano nei negozi in queste ore, perché sono innanzitutto teppisti e non indomiti combattenti per la libertà.

Questo lo dobbiamo per un senso di giustizia ma anche per un ragionamento politico di primaria importanza.
In queste ore in Francia sta avendo più successo la raccolta fondi per il poliziotto di quella per la famiglia della vittima.
È un segnale di enorme rilevanza che deve essere colto.
Altrimenti succederà che milioni di europei (anche con origini in altri continenti) sceglieranno sempre di più chi proporrà loro soluzioni drastiche ed illiberali.
La democrazia imbelle e tremebonda non è democrazia: è assenza colpevole nel governo della realtà.
Chi non lo capisce e il partner ideale dei teppisti senza quartiere e l’alleato perfetto dei tanti dittatori che popolano la cartina geografica usando sempre e comunque le maniere forti.


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