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Perché l’Oceania è al centro dei tour diplomatici di Francia e Usa

L’offensiva diplomatica Usa nel Pacifico mira a rinforzare la presenza militare occidentale nell’area, oggetto di infiltrazioni da parte della Cina. Ma i risultati sono alterni. E ci sono altri attori in gioco, come la Francia, che parla di “potenze predatorie” senza specificare esattamente a chi si sta rivolgendo…

Negli ultimi giorni l’area dell’Indo-pacifico ha assistito all’intensificarsi della campagna diplomatica di Washington, portata avanti da diverse figure di spicco dell’amministrazione americana su diverse direttrici, ma tutte rientranti all’interno del grande ombrello della sicurezza. Con risultati alterni tra paese e paese.

Lloyd Austin, il Segretario alla Difesa, si è recato in Papua Nuova Guinea per una serie di incontri con i leader locali. A maggio, Stati Uniti e Papua Nuova Guinea avevano già firmato un accordo sulla cooperazione nel settore della difesa, che secondo quanto affermato da Austin non mirerebbe a stabilire una “base statunitense permanente” ma a sostenere il paese oceanico a espandere e modernizzare le proprie capacità militari, oltre che a migliorarne l’interoperabilità con le forze americane. L’interesse dimostrato da Washington nei confronti di Port Moresby durante gli ultimi mesi è tutt’altro che casuale. Nel 2022 infatti la Cina ha firmato un accordo sulla sicurezza con le isole Salomone, antistanti la Papua Nuova Guinea, che prevederebbe  tra le altre cose la creazione di una base navale per la flotta di Pechino. La firma di questo accordo ha scatenato immediate reazioni negli Stati Uniti, spingendo il governo a cercare forme di contro-bilanciamento.

Austin si è poi recato in Australia, dove è stato raggiunto dal Segretario di Stato Antony Blinken. Qui i due rappresentanti americani si sono incontrate con le rispettive controparti australiane, il Ministro della Difesa Richard Marles e la Ministra degli Esteri Penny Wong, in preparazione di un incontro a quattro previsto per il 28 luglio (giorno in cui i due rappresentanti americani incontreranno anche il Primo ministro Anthony Albanese). Le conversazioni, avvenute in concomitanza dell’esercitazione militare Talisman Sabre che vede impegnate forze australiane e statunitensi (insieme a contingenti provenienti da altri paesi), si incentreranno probabilmente sui futuri sviluppi di sicurezza nel contesto australiano, come i futuri investimenti statunitensi nelle basi della Royal Australian Air Force o l’integrazione degli F-35 giapponesi nella struttura di cooperazione tra Washington e Canberra. Sebbene gli esponenti americani abbiano negato che in quest’occasione saranno trattate le questioni legate all’alleanza Aukus, per via dell’assenza di una rappresentanza britannica, è comunque molto probabile che venga discussa la tematica del trasferimento alla marina australiana di sottomarini nucleari made-in-usa decisa proprio in ambito Aukus.

Prima della tappa australiana, Blinken si era recato a Tonga e in Nuova Zelanda. Quest’ultimo paese ha ospitato negli ultimi mesi numerosi esponenti del governo americano, probabilmente giunti sull’isola nel tentativo di persuadere Wellington ad unirsi, o quantomeno ad avvicinarsi, ad Aukus. Prospettiva accarezzata in primavera dal Ministro della Difesa Andrew Little, ma respinta in seguito dal Primo ministro Chris Hipkins e dalla Ministra degli Esteri Nanaia Mahuta. Coerentemente con la politica ambivalente seguita da Wellington nei confronti dell’Occidente e della Cina: pur essendo parte della struttura atlantica, la Nuova Zelanda non intende assumere una posizione di netto contrasto nei confronti di Pechino, di cui continua ad essere il partner privilegiato nel “blocco occidentale”, come dimostrato dal recente viaggio di Hipkins in terra cinese.

Ma gli Stato Uniti non sono stati gli unici a concentrarsi nell’area. Negli stessi giorni in cui aveva luogo l’offensiva diplomatica americana, il presidente francese Emmanuel Macron si è recato nell’ex-colonia di Vanuatu, prima di raggiungere a sua volta la Papua Nuova Guinea. In un discorso tenuto durante la sua permanenza a Vanuatu, il leader dell’Eliseo ha denunciato “un nuovo imperialismo” che si sta diffondendo in Oceania e nell’Indo-Pacifico, con “grandi potenze predatorie che minacciano la sovranità di molti stati, spesso più piccoli e fragili”. Anche se il riferimento alla Cina è più che palese, non è da escludere che la voluta vaghezza di Macron lasciasse intendere che anche gli Stati Uniti rientrino in questo gruppo di stati. Soprattutto alla luce dalla postura diplomatica assunta da Parigi nella regione, decisamente distaccata da quella angloamericana e dalle logiche intorno a cui si struttura l’Aukus. Presentandosi come un “terzo polo”, la Francia vuole recuperare una parte della sua influenza storica, a detrimento tanto di Pechino quanto di Washington.

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