Le sanzioni formato extra large contro il Cremlino stanno spingendo molti Paesi a rimpatriare le proprie riserve auree, nel timore che possano finire sotto chiave, qualora saltassero fuori flirt poco graditi con Mosca
Non è come la corsa all’oro che alla fine dell’Ottocento si scatenò tra Canada e Alaska, ma l’effetto collaterale delle sanzioni formato extralarge dell’Occidente, contro la Russia. Le quali, è bene ricordarlo, prevedono la possibilità di colpire anche solo quei Paesi semplicemente in odore di affari con Mosca. E così, pare proprio che chi ha la coscienza non troppo immacolata, abbia cominciato a mettersi paura. Magari di vedere il proprio oro messo sotto chiave, così come già avvenuto per la Russia stessa.
Altrimenti, racconta il Financial Times, non si spiegherebbe il perché un numero crescente di Paesi stia rimpatriando le riserve auree come protezione contro il tipo di sanzioni imposte dall’Occidente al Cremlino. Tutto parte da un dato. Oltre l’85% degli 85 fondi sovrani e delle 57 banche centrali ritiene che l’inflazione sarà più alta nel prossimo decennio che nell’ultimo. Il che, è noto, eleva l’oro a bene rifugio per eccellenza.
Poi però c’è il fattore psicologico giocato dalle sanzioni. Molti dei Paesi che rivuole il proprio metallo giallo allocato presso forzieri terzi, è ancora scosso dal congelamento dello scorso anno di quasi la metà dei 640 miliardi di dollari di riserve in oro e valuta della Russia da parte dell’Occidente in risposta all’invasione dell’Ucraina. Alti rappresentanti di una banca centrale, rimasti anonimi, hanno dichiarato di “aver trasferito nel nostro Paese l’oro non per tenerlo come bene rifugio ma per tenerlo al sicuro”.
Insomma, il rimpatrio del lingotto è diventato un trend globale mentre i Paesi che cercano di ridurre la loro dipendenza da entità straniere per la conservazione delle loro riserve in lingotti. La decisione è vista come strategica e mirata a salvaguardare la ricchezza nazionale in tempi incerti. “I Paesi vogliono avere il loro oro a portata di mano”, ha detto Shaun Breslin, professore di politica e studi internazionali presso l’Università di Warwick. Questa tendenza, guidata dal desiderio di sicurezza finanziaria tra le crescenti tensioni geopolitiche, ha visto nazioni come Ungheria, Polonia e Turchia riportare a casa le loro riserve d’oro dal Regno Unito e dagli Stati Uniti.