Il professor Paganetto, autore insieme al Gruppo dei 20 dell’Università Tor Vergata del libro “Spostare il baricentro (del Pnrr)”, commenta le ultime modifiche presentate dal governo italiano. Per il piano post-pandemico il paradigma deve essere l’aumento della produttività del Paese, criterio che non è previsto dai progetti presentati dai comuni. Per quelli, è meglio puntare al Fondo Complementare, legato al bilancio pubblico
La Commissione Ue nel varare la terza tranche di finanziamento del Pnrr ha espresso un giudizio positivo sul lavoro di revisione del Piano condotto dal Ministro Raffaele Fitto, pur rimanendo in attesa di esaminare la proposta formale che le verrà sottoposta. È un risultato positivo per il nostro governo che conferma la modificabilità del Pnrr prevista, come sapevamo, dalle regole che lo governano. Ciononostante si è subito aperta una discussione su chi risulta avvantaggiato e chi si ritiene danneggiato dalle modifiche proposte. I sindaci dei comuni titolari dei progetti che sono stati esclusi dal Pnrr non sono sicuri che i loro progetti verranno recuperati, come promesso, con l’uso del Fondo Complementare o con i Fondi di Coesione che sono accentrati assieme a quelli del Pnrr a palazzo Chigi. Così come non tutti condividono lo spostamento dei progetti di indipendenza energetica sui fondi del RePowerEu.
Sono 144 gli investimenti oggetto di revisione con “definanziamento” dal Pnrr di 9 misure per un totale di 15,9 miliardi. Tra di essi, interventi per la valorizzazione del territorio dei comuni, progetti di rigenerazione urbana, piani urbani, misure per la riduzione del rischio idrogeologico, misure per l’utilizzo dell’idrogeno nei settori “hard to abate”.
Si tratta di interventi con caratteri assai differenti ma la cui esclusione dal Pnrr nasce dalla constatazione che “in sede di attuazione e rendicontazione hanno scontato rilevanti criticità con il rischio di incorrere in problemi di non ammissibilità”. È dunque l’esigenza di non cadere nella tagliola degli organi di controllo di Bruxelles che ha fatto nascere l’esigenza di spostare i relativi progetti dal Pnrr per accoglierli nell’ambito del Fondo Complementare e dei Fondi di Coesione, con critiche anche da parte di chi ritiene che si configuri così una riduzione dei Fondi di Coesione a favore del Mezzogiorno.
In tutto questo è chiara l’esigenza del Governo di non perdere risorse come sono chiare le preoccupazioni dei titolari dei progetti circa il loro recupero.
Ma è altrettanto evidente che per cogliere la grande opportunità rappresentata dai fondi europei e dalla loro concentrazione a Palazzo Chigi non basta assicurarsi che i progetti presentati rientrino in pieno nelle regole di rendicontazione previste dalla Commissione. Occorre fare in modo che la spesa d’investimento che essi generano sia recuperabile in termini di risultati attesi e capace di produrre sviluppo.
È in quest’ottica che, fin dall’inizio, con il Gruppo dei 20 ho sostenuto la possibilità e l’opportunità di modifiche al Pnrr, in una visione integrata con gli altri altri fondi europei.
L’idea guida, presentata nel volume “Spostare il Baricentro (del Pnrr)”, è infatti quella della necessità di una ricognizione complessiva dei progetti d’investimento che sia orientata dall’esigenza di realizzare gli aumenti della produttività totale che sono essenziali per ritornare su quel sentiero di crescita che il nostro Paese ha abbandonato dalla fine degli anni ’90.
Sono gli effetti di produttività realizzati con gli investimenti previsti dai progetti, il criterio generale che assieme a quello del rispetto delle regole di rendicontazione dovrebbe guidare una revisione del Pnrr e degli altri fondi europei. Non va dimenticato che, nelle valutazioni degli economisti, il 50/60% della crescita dipende dall’aumento della produttività totale che a sua volta è legata ad innovazione organizzativa e tecnologica.
Quest’orientamento avrebbe il vantaggio di presentarsi come regola generale e astratta non soggetta, per questa ragione, alla rimostranze di chi si sente oggi discriminato.
Se fosse applicato quest’approccio, sarebbe chiara la ragione per cui i progetti presentati dai Comuni, in cui l’aspetto produttività non è quello dominante, devono essere caricati sulla fiscalità generale e perciò sul Fondo Complementare, legato al bilancio pubblico. E perché i progetti di distribuzione informatizzati dell’energia debbano andare a carico del Pnrr o del RePowerEu in cui sono importanti gli aspetti di efficienza energetica e dunque quelli di produttività.
La conclusione è che una programmazione come quella prevista dal Pnrr, legata alla stella polare del mercato, non deve avere un impianto rigido.
Il nostro ritorno, dopo esperienze ormai lontane, a un’Amministrazione che decide in base a progetti collocati in un quadro di programmazione complessiva deve farci ricordare la lezione di Pasquale Saraceno quando affermava che la programmazione non è un metodo per decidere ma uno strumento per definire il quadro all’interno del quale vanno prese le decisioni.