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Dalla Bielorussia al Cremlino, cosa sta succedendo a Yevgeny Prigozhin

Nelle ultime settimane continuano ad arrivare notizie contrastanti sul destino della Wagner e del suo leader. Dal “confino” in Bielorussia all’interlocuzione diretta con Putin, la situazione continua a essere poco chiara. E non solo riguardo al futuro della Pmc

Dopo i fatidici eventi del 24 giugno, un alone di mistero continua a permanere sulla sorte del leader del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin. Dopo aver abortito la cosiddetta “Marcia della Giustizia” verso Mosca Prigozhin avrebbe dovuto recarsi in Bielorussia, secondo gli accordi mediati dal dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko, che ne avrebbe garantito l’incolumità fintanto che fosse rimasto all’interno dei confini dello Stato da lui governato.

Ed effettivamente sembrava che le cose fossero andate così, quando lo stesso Lukashenko ha confermato che il leader di Wagner fosse arrivato sano e salvo sul suo territorio. Ma a una decina di giorni di distanza l’autocrate bielorusso ha smentito quanto detto in precedenza, affermando che Prigozhin e i suoi uomini fossero ancora in Russia, e che forse non sarebbero mai arrivati in Bielorussia. “Prigozhin non è in territorio bielorusso. Si trova a San Pietroburgo… magari questa mattina si è recato a Mosca” sono state le parole pronunciate il 6 Luglio da Lukashenko.

Nel frattempo, il leader della Wagner aveva ricominciato a diffondere alcuni messaggi sui canali Telegram (da sempre il suo mezzo di comunicazione preferito), offrendo la sua versione dei fatti su quanto avvenuto nella notte 24 giugno e sulle cause che lo avevano prima spinto a lanciarsi in una simile impresa e in seguito spinto a rinunciarvi; in altri messaggi Prigozhin si scagliava contro il sistema mediatico russo, accusandolo di sciacallaggio, o ancora esortando i suoi fan a sostenere il gruppo Wagner e affermando che “presto ci sarebbero state altre vittorie”.

Nella mattinata di oggi, il quotidiano francese Liberation rivela che Prigozhin si troverebbe al Cremlino almeno da sabato 1 luglio, dopo essere stato convocato per parlare non solo con il presidente Vladimir Putin ma anche con altri importanti vertici dello Stato come Viktor Zolotov, capo di Rosgvardia (la Guardia Nazionale della Federazione Russa), e Serghei Naryshkin, direttore del servizio di informazioni esterne SVR.

Dopo poche ore arriva la conferma direttamente dal Cremlino tramite il portavoce Dmitry Peskov, il quale ammette che l’incontro tra Putin e Prigozhin ha avuto luogo il 29 Giugno. A questo incontro avrebbero preso parte 35 persone, tra dirigenti della Federazione Russa e capi del gruppo Wagner. Stando a quanto riferito dal portavoce, Putin avrebbe espresso le sue valutazioni sul comportamento della Wagner sia riguardo all’Operazione Militare Speciale che ai fatti del 24 giugno, offrendo ai wagneriti ulteriori possibilità di impiego. Dal canto loro, questi ultimi avrebbero sottolineato di essere convinti sostenitori e soldati fedeli nei confronti del Capo dello Stato e del Comandante supremo, affermando inoltre di essere pronti a continuare a combattere per la Madrepatria.

Secondo l’Institute for the Study of War, il leader della Federazione Russa avrebbe delle difficoltà a gestire lo spinoso caso della Wagner: un documento riservato del Cremlino ammetterebbe il fatto che essi siano molto più competenti e professionali delle forze regolari, e rinunciare a queste risorse in un momento cruciale della guerra potrebbe rivelarsi controproducente. Inoltre, come testimoniato dal NYT, Prigozhin e i suoi uomini godrebbero ancora di un buon supporto popolare, anche se in misura inferiore rispetto ai mesi precedenti.

L’alternarsi di notizie contrastanti non contribuisce certo a chiarire la caotica situazione della Russia “post-golpista” e dei vertici interessati dai recenti eventi. Mentre ieri fonti russe riportavano la rimozione del Capo di Stato Maggiore Valery Gerasimov dalla guida delle operazioni militari in Ucraina, oggi lo stesso generale riappare, per la prima volta dal 24 giugno, in un video che lo mostra impegnato nella gestione operativa del conflitto. Poche settimane fa, anche il minsitro della Difesa Sergej Shoigu era stato protagonista di un caso simile.


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