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Fondi europei alla difesa, serve una strategia che punti alla leadership. Il punto di Nones

L’Italia, con Leonardo in testa, parteciperà a ben 31 dei 41 programmi finanziati dall’European defence fund, circa il 74% dei fondi stanziati. Un buon risultato, ma l’Italia ha le carte in regola per perseguire ambizioni maggiori, ricercando una maggiore leadership dei programmi europei. Il punto di Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai)

Degli oltre ottocento milioni di euro assegnati dall’Unione europea ai progetti di ricerca e sviluppo nell’ambito dell’European defence fund, lo strumento della Commissione per promuovere la cooperazione in materia di difesa, l’Italia parteciperà a 31 dei 41 programmi vincitori. Si tratta di uno stanziamento di circa il 74% dei fondi complessivi stanziati per il Work programme 2022. Il nostro Paese, e in particolare Leonardo, parteciperanno a progetti che riguardano l’intera gamma dei domini operativi, dai tradizionali terra, mare e aria, ai nuovi dello spazio e del cyber. La società di piazza Monte Grappa, soprattutto, si è aggiudicata la guida del programma Tiresyas (Technology innovation for European radar system applications), relativo allo studio di una nuova famiglia di sensori multi-dominio aria-mare-terra. Del significato del risultato, e soprattutto delle implicazioni di lungo periodo per il nostro Paese, Airpress ne ha parlato con il professor Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).

Il punto di Nones

La prima riflessione che occorre fare è che si conferma come l’Edf stia diventando il principale strumento attraverso il quale si cerca di sviluppare una capacità tecnologica e industriale europea. Al di là degli importanti accordi a livello intergovernativo che ci sono stati nel passato, e che continueranno ad esserci, che riguardano prevalentemente lo sviluppo e poi la produzione di grandi sistemi d’arma, è importante che l’Europa faccia una attività propedeutica relativa ai programmi di ricerca e di sviluppo, fino al livello dei cosiddetti dimostratori tecnologici.

Dunque, per quanto tutti questi programmi debbano essere chiaramente orientati sulla base delle esigenze delle Forze armate europee e nella prospettiva di dare una risposta a queste esigenze, il programma Edf si muove con grande libertà, perché non implica automaticamente una produzione successiva, ma ne crea invece i presupposti. Ovviamente, a condizione che i risultati attesi siano conseguiti e, soprattutto, lo siano in maniera tempestiva. Lo sforzo congiunto europeo, dunque, è sicuramente un tassello importante nella costruzione di una Europa della difesa

Ciò detto, tuttavia, siamo al secondo anno dell’esercizio Edf, con i risultati del 2022 che si cominciano a vedere adesso. Si possono, allora, trarre alcune iniziali valutazioni. La prima cosa che emerge da un’analisi dei dati Edf 2021-2022 è che la Francia emerge come il principale Paese impegnato nelle attività di ricerca e sviluppo. Lo è sia in termini di ritorni economici all’interno dei vari programmi sia, soprattutto, a livello di leadership dei programmi stessi. L’essere team leader, quindi a capo di un consorzio a cui partecipano imprese e soggetti di altre nazioni, rappresenta di per sé un valore aggiunto per lo Stato interessato, perché ne dimostra la dinamicità e il fatto che gli altri partecipanti ne riconoscano il ruolo guida, al di là del fatto che poi possano essere più o meno presenti nei singoli programmi.

Quindi, una valutazione complessiva deve riguardare sia il numero di progetti a cui si partecipa, sia l’entità dei finanziamenti che vengono percepiti da ciascun Paese. Il punto è assicurare un rapporto il più possibile equilibrato tra il finanziamento che ogni Paese alloca al bilancio europeo, e quindi all’Edf, e quello che è il suo ritorno economico e finanziario. In generale, il punto di riferimento che si utilizza in questo tipo di valutazioni è quello di tenere conto che se nel nostro caso l’Italia partecipa grosso modo al 13% del bilancio comunitario, è importante che possa poi, attraverso i bandi assegnati, ricevere una quota analoga. Ovviamente questo vale quando all’interno di quel settore il Paese intenda avere una posizione importante, e quindi consideri strategiche le attività che vengono finanziate. Nel caso della difesa, l’Italia è sicuramente uno dei grandi player europei, e quindi deve mantenere l’ambizione di vedere riconosciuto questo suo ruolo.

Un aspetto che sicuramente potrebbe essere migliorato, e che era stato evidenziato fin dal primo anno dell’European defence fund, è quello dei programmi a guida italiana. Questo perché ci sono delle attività di ricerca e sviluppo nelle quali l’Italia ha delle grandi capacità, che le vengono riconosciute anche a livello europeo (come è evidente nei programmi Pesco), e quindi può avere l’ambizione di potere essere lei a guidare i progetti di questi segmenti. Ovviamente non può farlo sempre, ma dato che i bandi sono annuali, l’Italia deve poter realizzare questo tipo di ambizione. Ciò comporta un grande sforzo e una grande determinazione da parte industriale, ma anche il sostegno dell’intero sistema-Paese. Nella costruzione dei progetti e dei consorzi che li devono presentare bisogna poter garantire l’impegno complessivo delle capacità industriali e tecnologiche, ma anche delle capacità di guida e di indirizzo da parte dello Stato. Ancora prima, bisogna che sia ben chiaro e definito quali siano i segmenti sui quali il sistema-Paese vuole puntare, che non possono essere lasciati solo alla discrezionalità delle imprese del settore, ma che devono essere il risultato di un confronto fra aziende, Forze armate e autorità politica, che favorisca la conclusione di questa strategia. Forse sarebbe il caso di riconsiderare alcuni dei suggerimenti che erano contenuti nella direttiva per la politica industriale del ministero della Difesa del 2021 e che potrebbero aiutare nella direzione di migliorare la possibilità dell’Italia di partecipare più attivamente alle iniziative europee.

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