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Elezioni e fake news, perché serve una revisione del Codice Ue. Parla Razzante

Fake news e disinformazione. La necessità di aggiornare il codice di condotta europeo in vista delle elezioni del prossimo anno e gli scenari dopo Covid e guerra in Ucraina. Il docente della Cattolica parteciperà alla presentazione del report del Censis Ital Communications

Fake news, disinformazione. Dall’ondata pandemica al conflitto in Ucraina. Gli sconvolgimenti sullo scenario internazionale e il rischio di manipolazione dell’elettorato in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Saranno questi alcuni degli argomenti che verranno trattati in occasione della presentazione del report Ital Communications – disinformazione e fake news in Italia elaborato dal Censis, che si terrà mercoledì prossimo a Palazzo Giustiniani. Tra i relatori, oltre al vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, e il sottosegretario all’Informazione e all’Editoria, Alberto Barachini, ci sarà anche Ruben Razzante, saggista e docente di Diritto dell’informazione alla Cattolica di Milano. Con lui, abbiamo cercato di anticipare qualche tema che verrà affrontato nel corso della presentazione.

Cosa sta cambiando nello scenario della diffusione delle informazioni, in particolare sul web?

I due eventi epocali che si sono susseguiti – pandemia e guerra in Ucraina – hanno riacceso un faro sulle problematiche relative alla disinformazione, a prescindere dalle posizioni dei singoli. Ed è per questo che occorre sempre di più monitorare i flussi di informazione che vengono diffusi.

Lo scorso anno, a livello europeo, è stato aggiornato il codice di condotta contro la disinformazione, approvato nel 2018. Si è dimostrato, nel tempo, uno strumento efficace?

Direi di sì. Il codice venne approvato nel 2018, in occasione della campagna elettorale. A quel tempo lo scopo era quello di evitare che informazioni sbagliate, palesemente infondate e false fossero veicolate per orientare l’elettorato. La grande paura era che gli schieramenti sovranisti e anti europeisti potessero dilagare. Il codice dimostrò di funzionare perché le fake news non condizionarono il voto. Oggi che ci apprestiamo ad affrontare un’altra campagna elettorale, torna a essere centrale.

Sì, ma lo scenario anche sotto il profilo politico è completamente mutato rispetto al 2018…

Ora c’è il tema delle alleanze. E, con i due avvenimenti che ho citato prima, il rischio di una diffusione massiccia di fake news è altissimo. Ed ecco perché a mio giudizio occorrerebbe un’ulteriore messa a punto del codice prima della voto in primavera.

Lei ha fatto parte della task force voluta dal governo Conte II durante il Covid per monitorare il flusso delle fake news. Ritiene che quello possa essere un modello efficace e replicabile in maniera strutturale?

Durante quell’esperienza lavorammo alacremente per evitare la diffusione su larga scala delle fake news relativamente al Covid. Fummo tuttavia accusati di essere un organismo che voleva imporre delle verità precostituite: nulla di più falso. In realtà il nostro obiettivo era quello di verificare la fondatezza delle notizie diffuse. Si tratta di trasparenza, non di censura. Un organismo di questo tipo sarebbe auspicabile diventasse strutturale. Mi immagino un comitato permanente che coinvolga politica ed editoria (allargato alle opposizioni) per controllare i flussi di notizie: ne va della qualità della democrazia. In questo senso apprezzo le parole dei vertici di Agcom che auspicano una revisione anche della legge sulla par condicio in campagna elettorale.

Negli altri Paesi europei esistono realtà analoghe?

So per certo che durante il Covid molti Paesi hanno creato delle realtà come la nostra per smascherare le fake news più marchiane e che hanno lavorato molto bene con gli organismi europei.

 

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