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Ricercare giocando, una contaminazione che fa bene al progresso

Di Leonardo Caporarello

L’applicazione dei game per l’attività di ricerca è sempre più frequente in diversi ambiti disciplinari, dalla psicologia alle neuroscienze, passando per l’economia, il management e il comportamento organizzativo. Il punto di Leonardo Caporarello (Associate dean for Online learning presso Sda Bocconi school of management) pubblicato sulla rivista Formiche

“Houston, We have a problem!” è la frase che molti di noi hanno sentito dire e che ci ricorda il messaggio che si scambiarono l’equipaggio dell’Apollo 13 e il mission control center della Nasa di Houston. Dinanzi a un problema come questo, o più genericamente una situazione incerta o difficile, come risponderemmo? Una prima reazione potrebbe essere di natura emotiva. In questo caso potremmo quindi mostrare, ad esempio, qualche segno di preoccupazione e sarebbe più che comprensibile, qualora fossimo nello spazio e lo Shuttle su cui ci troviamo avesse un guasto. Una reazione di diversa natura potrebbe comportare, invece, l’interesse a voler meglio comprendere le cause del possibile rischio o del danno.

Questa ci condurrebbe a una diagnostica accurata, a formulare ipotesi su come intervenire per risolvere il problema, valutando quindi i relativi pro e contro, e a decidere infine la strada da perseguire. In altre parole, in quest’ultimo caso si vorrebbe risolvere il problema, la situazione incerta o di tensione, tramite l’uso e l’applicazione di un approccio scientifico. È chiaro quale sia il valore del metodo scientifico, così come è altrettanto chiaro che per applicarlo correttamente è necessario raccogliere dei dati che, attraverso l’utilizzo di modelli e ipotesi di ricerca, saranno poi analizzati e interpretati.

È quindi lecito domandarsi in questa sede se il gioco sia davvero un valido strumento per raccogliere ed eventualmente supportare l’analisi dei dati e la ricerca scientifica. Proviamo a dare una prima risposta a questo quesito partendo da un esempio pratico. In un recente studio pubblicato da Nature (2022) è stato usato il metodo del videogame per raccogliere dei dati utili a studiare, con riferimento a persone con caratteristiche demografiche diverse, la loro capacità di comprendere le relazioni spaziali tra diversi oggetti.

Cambiando area disciplinare, uno scienziato cognitivista, Joshua Hartshorne, ha studiato come le persone imparano la lingua inglese e per questo aveva bisogno di raccogliere dati su alcune decine di migliaia di persone attraverso un test di lingua. Per rendere più rapida questa fase di raccolta dati ha pensato di progettare un gioco chiamato Which English? attraverso il quale è riuscito a coinvolgere più di 600mila partecipanti.

Questi esempi spiegano che l’applicazione dei game per l’attività di ricerca è sempre più frequente in diversi ambiti disciplinari, dalla psicologia alle neuroscienze, passando per l’economia, il management e il comportamento organizzativo. Creare game basati su solidi fondamenti teorici e allo stesso tempo divertenti per i giocatori (ovvero i partecipanti alla ricerca) amplifica il potenziale di coinvolgimento degli stessi partecipanti che, con le loro azioni e decisioni, contribuiscono all’osservazione di un fenomeno e alla raccolta dei dati. Si tratta di un importante elemento positivo. I giochi a supporto dell’attività di ricerca rendono anche replicabile lo studio, cosa non facile quando la ricerca è svolta solamente in laboratorio.

L’utilizzo dei cosiddetti scientific game è quindi promettente. È una realtà, piuttosto consolidata in Paesi come gli Stati Uniti, dove avvengono diverse sperimentazioni sul tema e molte aziende propongono e mettono a punto questi strumenti. Eppure sussistono ancora delle ritrosie o, più spesso, atteggiamenti attendisti o prudenti. Tutto questo è comprensibile ma, in prima battuta, non riguarda la validità dello strumento. La qualità principale del game nella ricerca scientifica è la sua capacità di contribuire ad applicare il metodo scientifico, tramite il quale analizzare e risolvere problemi, situazioni complesse o a elevato livello di complessità.

Il mondo della ricerca scientifica, dei progettisti e degli sviluppatori di game dovrà, probabilmente, contaminarsi di più per trovare un’area comune entro la quale creare giochi, anche come parte di altri metodi digitali o meno, in grado di apportare il loro valido contributo al metodo scientifico.



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