Quando si parla di corsa allo spazio si guarda sempre ad ovest, e soprattutto ai giganti americani. Ma negli ultimi anni si sono affacciati al settore con sempre più ambizione anche diversi Paesi dell’area Mena che però non dispongono ancora di una base industriale adeguata
È iniziata una nuova corsa globale allo Spazio. Da quando, nelle prime fasi dell’esplorazione, Stati Uniti e Unione sovietica la facevano da padroni soli e indiscussi, negli ultimi anni la situazione è cambiata rapidamente e sono sempre più numerosi gli Stati che hanno deciso di dotarsi di capacità in ambito spaziale, tra questi anche i Paesi dell’area Mena. Si tratta di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Algeria ed Egitto. Sono stati proprio loro i protagonisti dell’evento “The Middle East’s space race”, nella cornice dei Mediterranean dialogues (Med) promossi dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. L’iniziativa ha visto la partecipazione della professoressa di Space economy presso l’Università Bocconi, Simonetta Di Pippo, e del resident fellow presso l’European space policy institute, Matija Renčelj ed è stata moderata dall’associate research fellow dell’Ispi, Alessandro Gili.
Un’inarrestabile Space economy
“Nel 2022 il valore globale della Space economy ammontava a circa 469 miliardi di dollari, ma nella mia opinione tale dato è sottostimato”, ha spiegato Di Pippo. Questo perché oggi è molto complesso categorizzare e distinguere con precisione le attività non legate al settore spaziale, da quelle prettamente spaziali e ciò è dovuto anche al massiccio ingresso dei privati. “Nello Spazio il settore privato sta diventando sempre più presente, in particolare nei Paesi occidentali e negli Stati Uniti, ma oggi questo movimento sta crescendo sempre più” e si espande a livello internazionale. E l’Europa quo vadis? “Probabilmente alcune attività in Europa dovrebbero essere accelerate, dovrebbero essere trovate più sinergie tra i vari Stati membri, e probabilmente ci vorrebbe anche una visione più coesa e olistica riguardo a una maggiore assunzione di rischio, in particolare quando parliamo di lanciatori”, ha risposto la professoressa. Siamo infatti indietro di circa dieci anni, e come ha spiegato ancora Di Pippo questo è dovuto anche al fatto che dal punto di vista del settore privato “ci assumiamo meno rischi, al contrario di come avviene negli Usa”. “L’Europa deve quindi velocemente riassettare le proprie priorità e la sua visione strategica per trovare le sinergie necessarie per fare un salto in avanti”.
La presenza (di lunga data) dei privati nello Spazio
Ad oggi la Stazione spaziale internazionale (Iss) – sviluppata dagli Usa, dalla Federazione russa, dal Giappone, dal Canada e da altri Stati europei sotto l’ombrello dell’Agenzia spaziale europea (Esa) – rappresenta “una delle più interessanti piattaforme di cooperazione a livello internazionale nel settore spaziale”, ha raccontato Di Pippo. Ma nel 2030 andrà in pensione e sarà rimpiazzata da avamposti privati, come quello che realizzerà la società texana Axiom. “Quando parliamo del ruolo-chiave del settore privato è corretto, sta crescendo e accelerando, ma non dobbiamo essere ciechi di fronte al fatto che già dall’inizio dell’Era spaziale il ruolo del settore privato è stato cruciale per i governi affinché perseguissero le loro ambizioni”, ha spiegato invece Matija. Nello sfruttamento spaziale, soprattutto nel campo delle comunicazioni, il settore privato è infatti sempre stato molto presente, anche se mai quanto oggi.
La corsa spaziale dei Paesi Mena
Sono dunque diversi i Paesi dell’area Mena che guardano con sempre maggior curiosità allo Spazio. Nella seconda metà di maggio ad esempio l’Arabia Saudita ha comprato un volo per una propria astronauta sull’Iss, mentre nel 2019 gli Emirati Arabi Uniti hanno iniziato a focalizzarsi sulla Space economy e l’esplorazione. Come ha spiegato Di Pippo, “se vogliamo vedere la situazione dal punto di vista del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), tra tutti i Paesi che ne fanno parte c’è un solo Stato che ha realmente iniziato un programma nello spazio già tempo fa, e che poi ha interrotto per ritornare recentemente ed è l’Arabia Saudita”. Già nel 2001 il Paese si era infatti unito all’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari dell’outer space e il primo astronauta arabo nel 1995 era proprio nato in Arabia Saudita. Salvo poi interrompere le proprie attività spaziali fino a pochi anni fa. Nel periodo in cui l’Arabia Saudita non è stata attiva nello spazio “tutti gli altri Paesi si sono pian piano uniti al Comitato per gli usi pacifici dello spazio extra-atmosferico (Unoosa), in particolare tre nel 2015 (Oman, Qatar e Emirati Arabi Uniti) e il Bahrein nel 2021”.
Bisogna quindi considerare attentamente cosa sia successo sul piano geopolitico, ad esempio nel Golfo, che abbia influenzato la corsa spaziale di alcuni Paesi, rallentandola. Oggi invece per diversi Paesi dell’area Mena “lo Spazio è una parte della loro proiezione esterna” che li vuole più trasversali, ha spiegato Matija. Ad esempio per l’Arabia Saudita il suo programma spaziale rientra tra le priorità per l’agenda 2030 del Paese. I Paesi del Golfo “hanno molte ambizioni e dispongono del budget per realizzare tali ambizioni, ma non riusciamo a vedere una base industriale matura per raggiungere tutti i risultati che si sono prefissati”, ha poi concluso Matija.