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La sfida (frontale) della Chiesa caldea in Iraq. E dietro si vede l’Iran

Con una decisione che non ha precedenti nella storia irachena il patriarca della Chiesa caldea, cardinale Louis Sako, ha deciso di abbandonare Baghdad e trasferirsi in un convento del Kurdistan iracheno, nei pressi di Erbil. Che cosa vuol dire? L’analisi di Riccardo Cristiano

Cristiani al centro delle manovre khomeiniste in Iraq. Con una decisione che non ha precedenti nella storia irachena il patriarca della Chiesa caldea, cardinale Louis Sako, ha deciso di abbandonare Baghdad e trasferirsi in un convento del Kurdistan iracheno, nei pressi di Erbil. La decisione, annunciata con un comunicato ufficiale pubblicato on line sul sito della Chiesa caldea, segue di poche giorni la decisione del Presidente della Repubblica, eletto dai filo iraniani dopo il ritiro dal Parlamento dei deputato del “ribelle” Moqtada al Sadr, di ritirare il decreto presidenziale che da molti anni riconosceva il cardinal e patriarca Sako come “ responsabile dei beni della Chiesa”.

In questo modo si manifesta lo spettro di possibili confische dei beni ecclesiastici. Il presidente ovviamente nega simili intenzioni, ma bisogna capire da parte di chi. Se non da parte dello Stato, forse la possibilità sussiste da parte della formazione miliziana “Babilonia”, emersa con il sostegno iraniano ai tempi della lotta contro l’Isis. Ora è diventata una potenza militare ed economica, ed ha conquistato, con una controversa revisione dei criteri elettorali, quattro dei cinque seggi parlamentari assegnati dalla Costituzione alla comunità caldea. La milizia e i suoi deputati sostengono infatti il nuovo esecutivo filo-iraniano, nel quale siede un loro esponente.

E chi vede una manovra politica tesa a sostituire il ruolo della Chiesa con il potere della milizia Babilonia sottolinea l’inquietante circostanza che poco prima di rendere nota la sua decisione di togliere la responsabilità dei beni ecclesiali al Patriarca, il presidente della Repubblica ha incontrato il capo della milizia Babilonia, Rayan al Kildani, cioè Rayan il Caldeo. E che cosa propugna costui? La costituzione di un’enclave caldea nella piana di Ninive. Rinchiudere i cristiani in un territorio delimitato comporterebbe una loro esclusione dal contesto iracheno, dalla convivenza con altre comunità, lì o altrove.

Motivata con ovvie e oggettive ragioni di sicurezza, spesso aggravate dalle stesse milizie alleate, questa scelta comporterebbe una separazione sociale e la costituzione di un vincolo di protezione con il governo e le sue milizie confessionali. Ed è la visione della cosiddetta Alleanza delle Minoranze, cioè una sorta di presa d’atto dell’impossibilità di coesistenza civile tra comunità diverse all’interno di un medesimo. L’implicazione “ideologica” è semplice: l’ “impossibilità culturale” di convivere tra musulmani e cristiani e quindi il dover impedire che la maggioranza della comunità islamica, cioè i sunniti, prendano il potere, perché strutturalmente e culturalmente incapaci di rispettare le altre comunità. Di qui la necessità di allearsi con la confessione islamica minoritaria, quella sciita, che è guidata dagli iraniani e dalle milizie ad essi alleati.

Questo teorema ha due sgrammaticature evidenti: se lo sciismo è minoranza nel vasto mondo islamico, è diventato da tempo maggioranza in Iraq e quindi, siccome la definizione degli assetti di potere nazionale sono affidati al voto nazionale, nulla impedirebbe agli sciiti, musulmani anche loro, di realizzare il “congenito” intento totalitario. La seconda sgrammaticatura è che i cristiani dovrebbero adeguarsi ad analogo totalitarismo, visto che in questo modo si dovrebbero necessariamente rapportare come intera e omogenea comunità ad un potere politico, senza possibilità di distinzione personale e di orientamento politico individuale.

La linea incarnata dal cardinale Louis Sako, e con lui da buona parte dell’episcopato caldeo, è opposta. Architetto del viaggio in Iraq di Papa Francesco, il cardinal Sako è l’interprete regionale, non solo a livello iracheno, della visione dell’enciclica Fratelli tutti, che non propone ghetti, ma la costruzione di stati laici, basati sulla pari cittadinanza cittadinanza, riconosciuta finalmente come base culturale dal principale centro teologico sunnita, l’Università di al-Azhar, con il Documento sulla Fratellanza firmato da papa Francesco e dal rettore dell’Università Islamica di al-Azhar, l’imam Ahmad al-Tayyeb. Quel documento è stato il coronamento di un lunghissimo lavoro diplomatico della Santa Sede, avviato da Giovanni Paolo II negli anni Novanta.

Non a caso Sako è noto e apprezzato soprattutto quale promotore e organizzatore del viaggio apostolico di Francesco in Iraq e in particolare dell’incontro tra il papa e la suprema autorità sciita, l’ayatollah al Sistani, fautore di una visione opposta a quella settaria promossa dai khomeinisti. L’attacco personale, diretto e anche condito da articoli ingiuriosi contro il cardinale apparsi in Iraq non è dunque soltanto un fatto locale, ma regionale. Ed è l’attacco all’idea di una cittadinanza nazionale, che faccia delle diverse comunità una ricchezza e non una barriera invalicabile all’interno di società destinate ad essere governate da stati sottoposti a una visione confessionale e in definitiva tribale. L’operazione irachena già oggi può essere vista con lenti che non la limitano al solo Iraq e fa capire che è Tehran che ispira quei cristiani che in Libano accettano o propugnano una cantonalizzazione del Paese, con i cristiani ridotti sul Monte Libano, in un ghetto che ne determinerebbe la probabile estinzione.



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